7 marzo 2009 - 1° giorno
Arriviamo a Ouagadougou senza problemi; ma un borsone pieno di vestiti e altro per i bambini è andato perso. Lievi difficoltà di comprensione con l’incaricata, molto cortese e molto stanca – il mio francese è pessimo. L’Abbé Lucien è fuori dall’aeroporto, dove vige la solita ressa di sfaccendati volonterosi che sbarcano il lunario. L’uscita da Ouaga segue una fila ininterrotta di umanità le cui bancarelle si riducono progressivamente di dimensioni e ricchezza fino a diventare poche spanne di stuoia, su cui probabilmente finiranno di trascorrere la notte. L’impressione è che l’unico cliente atteso sia la speranza.
Nel cuore della notte l’arrivo a Mogtedo, alla parrocchia degli Abbé Jacob e Lucien, dopo la lunga superstrada a pagamento, ci porta ad una tavola imbandita con semplicità e un pollo arrostito veramente speciale. Nella chiesa, al di là del buio tra gli alberi, si levano canti e musica scandita dal rullare del tradizionale tamburo burkinabè. Giusto un saluto, la gente sciama al termine della funzione, solo un po’ incuriosita da questi bianchi comparsi nel cuore della notte.
Proseguiamo per Koupéla, e troviamo ancora alzata ad attenderci suor Bartolomea.
8 marzo 2009, domenica - 2° giorno
La campanella che segna gli impegni della giornata alle sei è una sveglia non traumatica. Colazione semplice, marmellata di carambole eccezionale. Stefano, Rita e Massimo dormono. Suor Bartolomea decide che non posso seguire le sorelle e le novizie alla messa delle 7 perché occorre che qualcuno chiuda il portone…Foto di rito ad ogni fiore del giardino, e finalmente compaiono tutti compresa Rita, stesa da raffreddore e faringite. Alle 8 si decide di raggiungere la chiesa per lasciare la chiave, quando sulla rotonda un poliziotto molto gioviale ci blocca per il passaggio della “course des handicapès”: carrozzine tricicle con pedalata manuale, tanto legno e parti di recupero, sfrecciano attorno alla rotonda e rientrano. Fa sorridere il fatto che il linguaggio politicamente corretto non abbia ancora scalfito la società. La pazienza del poliziotto per il nostro scarso francese non gli fa neppure affiorare il pensiero di controllare un permesso di utilizzare la nostra patente europea, permesso che non abbiamo; in verità avevamo creduto di capire male, “la corsa degli handicappati” era proprio tale.
La chiesa è una vera novità culturale: musica tradizionale, ritmo ed una gioiosa partecipazione, 7-800 persone riempiono la chiesa più la folla sul sagrato, miriadi di bambini bellissimi, molti vestiti per la festa, donne in abiti tradizionali coloratissimi, centinaia di braccia si levano a ritmo. Alcune donne indossano una maglietta dedicata all’8 marzo, che tuttavia, scopriremo in seguito, verrà festeggiato solo il giorno dopo perché l’8 è domenica! La sensazione di sentirci quattro mosche bianche è molto, molto forte. Ma al di là degli sguardi incuriositi riceviamo solo cortesia. Mentre noi restiamo a nostra volta incuriositi dai 45 minuti di annunci parrocchiali, che vanno da chi ha fatto offerte per dedicare la messa ai giorni di confessione prepasquale ai corsi di informatica.
Prima di rientrare è d’obbligo una visita alla “Casa dei 5 euro”. Charlotte, la ragazzina presa a cuore dalle suore, non c’è ma saltano fuori nugoli di bambini timorosi, ma giusto per pochi secondi. La miseria non intacca la gioia dei bambini, ma sembra riguardare un’esistenza diversa. Con orgoglio offrono sgabelli spolverati e uno mostra il libro di storia su sta studiando a scuola.
Visitiamo poi la maternità dell’ospedale ed il reparto degenti, dove il Dr. Gualtiero, chirurgo, compie tanti piccoli miracoli. E’ in pensione e si divide tra il suo studio privato a Brescia e Koupela. Non ha bisogno di arricchirsi, la sua famiglia sta bene, e dedica le sue risorse agli altri. Non con il gesto generoso di un momento, ma con anni di preparazione, comprensione della situazione locale, elaborazione di un progetto nelle sue linee strategiche e nelle realizzazioni pratiche: una base gettata per il futuro, e ogni commento è superfluo.
Nel pomeriggio si parte per Mankarga V5, dove è in corso uno dei sondaggi per impiantare un nuovo pozzo. I sondatori lavorano con cura, ma ciò che colpisce è l’intera popolazione che assiste. Il che non è poi così strano, vista la posta in gioco, ma diventa imbarazzante. Una particolare stretta di mano e un inchino, tutti salutano e ringraziano. Non si capisce come dal nulla di polvere rossa, acacie, baobab e mucche scheletriche ogni tanto compaia dal nulla qualcuno con i vestiti puliti ed in ordine, e si vedono un paio di cellulari in mano: ci dicono che è discretamente abbordabile nei costi anche per il metro di misura burkinabè (ma poi ci diranno il contrario). Purtroppo le evidenze sono infauste e prima che cali il buio ce ne andiamo senza sapere se gli ultimi 10 metri saranno quelli decisivi per l’acqua. La mia base tecnica dice di no, la mia speranza si ribella. Il capo sonda è abile nelle manovre, nonostante il mezzo perda olio dalla testa motrice, i manovali sono comunque volonterosi anche se alla fine di una giornata rovente sotto al sole ( che ha raggiunto i 38° C), respirando lo scarico di vecchi enormi motori diesel la stanchezza è evidente. La portata minima necessaria per installare la pompa è 0,5 m3/ora, e la portata misurata è di soli 0,2 m3 ora. Andandomene rimugino gli allineamenti dei dossi di granito e dei corestones, questi massi lasciati dalla scomparsa della coltre di alterazione, e l’aspetto dei cuttings di perforazione: non sono ottimista sull’esito del pozzo; vorrei poter fare qualche linea di sondaggi elettrici e partire con le verifiche. Rientriamo: L’Abbé Jacob conoscendo ogni singola buca guida il pick-up come fosse una motoretta, slalomando tra nugoli di bambini piccoli che portano per mano fratellini più piccoli…
Rientriamo tardi a Koupéla, scombinando ancora una volta il regolare scandire delle ore nella regola conventuale.