Burkina Faso 2009
Inviato: 27/03/2009, 1:04
BURKINA FASO 2009
(Massimo)
Le preoccupazioni prima della partenza sono le solite: Ste, tu che ci sei stato…
Che serve? Che mi devo portare?
Preoccupazioni inutili. Ora so che devi portare solo te stesso: è tutto quello di cui hai bisogno…
1° giorno (sabato 07) – Il viaggio
Fiumicino. Si parte male…
Un disguido sui bagagli: ok per 46 kg a testa, ma divisi in due da 23 al massimo. Sì, ma quando ce lo dite…?
Risolviamo il problema. Partiamo…
Verso le 20,30 siamo a Ouagadougou (sembra terribile, ma si legge facile: Uagadugù). Ovviamente manca un bagaglio. E ovviamente il borsone più grande, con vestiti, caramelle e medicinali da lasciare ai bimbi del Burkina!
(I bimbi del Burkina… ancora non so quanti e quanto belli siano! Ma è solo questione di tempo…)
Espletate le formalità per la denuncia (a mano su un foglio bianco e senza ricevuta), conosciamo finalmente i nostri referenti in loco.
Honorè ci trasferisce in Pick-up a Mogtedo, dove Padre Lucien e company ci ospitano per la cena. Staremo molto tempo con loro, ma non oggi. Dobbiamo raggiungere Koupela dove alloggeremo presso la missione delle suore Camilliane.
Un salto in chiesa giusto in tempo per conoscere Padre Jacob alla fine della funzione, i cui canti ci hanno affascinato per tutta la cena; poi via in macchina per Koupela, 140 km circa da Ouagadougou, 60 da Mogtedo.
Ci accoglie una donna minuta ma risoluta, si vede subito dai modi. Ci vengono indicate le nostre stanze, e all’una locale circa siamo a letto, un po’ stravolti e …molto accaldati!
Ma non mi è sfuggito l’evento più significativo della giornata: ho conosciuto Suor Bartolomea.
2° giorno (domenica 08) – Il pozzo in trivellazione
Oggi si va a Mankarga V5. Ci verrà a prendere Honorè dopo pranzo, ore 13:00.
C’è tutto il tempo per dilungarsi un po’ nel letto e per raggiungere le suore alla funzione domenicale.
Oggi è la festa della donna.
La chiesa di Koupela è un enorme capannone in tralicci di ferro ricoperto di lamiera ondulata. Ma è meravigliosamente colorato, per i disegni all’interno, ma soprattutto per i colori forti delle vesti dell’enorme quantità di gente che gremisce la funzione.
Salta subito all’occhio e all’orecchio la partecipazione gioiosa al rito, con canti, controcanti e battimani ritmati, che fa contrasto con la seriosità e ritualità compassata delle nostre funzioni religiose. Non sono credente, ma mi piace più qui.
Dopo la funzione un giro veloce per Koupela.
Il primo impatto con la gente è devastante, in senso positivo. Gente sorridente, gente colorata, capanne in mattoni di paglia e fango su cui poggiano instabili tettoie di pali e stuoie, vitalità frenetica e ozio sfrenato allo stesso tempo. Si può dormire dovunque, purché sia in ombra.
Ma soprattutto bambini, tanti, bellissimi! Capelli crespi, occhi nerissimi, luminosi e grandi tanto che ti ci puoi vedere riflesso (e non è un modo di dire…).
Vorresti immortalare tutto con l’ausilio di una, cento foto. Ma ti trattieni, per rispetto.
Almeno fino a quando non ti accorgi che amano essere fotografati, e rivedersi nel piccolo monitor della macchina digitale per ridere gioiosi e complici dei loro stessi ritratti. Questo delle foto ai bimbi sarà un appuntamento ricorrente nei giorni a venire.
Una tappa particolare la riserviamo alla “Casa dei 5 Euro”: il disegno è ancora lì; ci consentono con gioia di fotografare la casa e i bambini. Rita se ne ritrova uno piccolissimo in braccio, depositato dalla madre che poi sparisce per non so quali faccende…
Ma dobbiamo rientrare, per stare nei tempi. Il pranzo è piacevole con le suore della missione.
Puntualissimi, ci fanno sapere da Mogtedo che Honorè ci verrà a prendere …alle 15:00!
Strada per Mankarga V5.
Per la verità si può chiamare strada per il solo breve tratto asfaltato dell’arteria che collega Koupela a Ouagadougou; poi solo una traccia di sterrato nella brulla distesa arida, interrotta da radi cespugli e alberi che si ripetono uniformemente in tutte le direzioni.
In più di un’occasione le doti della Land Rover sono messe alla prova per superare fuori sentiero tratti di strada portati via dall’impeto delle piene nella stagione delle piogge e mai ripristinati.
Lungo il percorso persone a piedi, solitarie o in piccoli raggruppamenti, trabiccoli trainati da striminziti somarelli, biciclette, motorini… tutti portano carichi troppo grandi per il relativo mezzo di trasporto utilizzato, le mercanzie acquistate al mercato di Mogtedo e che faticosamente riportano ai villaggi a chilometri di distanza.
Tutti, indistintamente, fanno indigestione della polvere sollevata dai nostri fuoristrada…
Arriviamo. La trivella è già al lavoro dalla mattina, sotto gli sguardi attenti e curiosi di tutto il villaggio. L’acqua già sgorga, stanno misurando la portata. Due metri cubi l’ora: troppo poco per dichiarare il pozzo positivo.
Sono già a circa 50 metri; arriveranno fino ad oltre 85, ma l’acqua è sempre troppo poca. Il pozzo è purtroppo negativo!
Siamo stati sfortunati stavolta. Dovremo scavare un po’ più in là.
Ma non oggi, né domani, perché si è rotta la trivella…
Tutto il villaggio ci è comunque riconoscente, ci saluta con riverenza stringendoci la mano, una dieci, cento…!
Ci offrono da bere, improvvisano canti e danze per noi. Trascinano l’unica donna della nostra compagnia nella danza ritmata, scandita da battimani e …grandi colpi di anca una contro l’altra (sì, proprio come quel ballo che pensavamo di avere inventato da noi negli anni sessanta).
E’ divertente. Rita non si fa pregare ed affascina la folla con il suo sorriso, la spontaneità e la naturalezza nella partecipazione, tra i colori sgargianti delle vesti delle donne del villaggio.
Prima di andare, i vecchi ci offrono in dono in segno di riconoscenza …tre polli!
Sì, tre polli, vivi naturalmente... Che finiranno stasera nel pollaio della missione.
L’inconveniente alla trivella ci fa saltare tutti i programmi per domani, ma …si sa che non tutto il male viene per nuocere! Ma questa è un’altra storia, la racconterò più in là. Per ora rientro a Koupela e a letto.
3° giorno (lunedì 09) – La Città dei Sassi
Alle sette colazione, puntuali altrimenti suor Bartolomea si arrabbia.
Oggi è giornata festiva in Burkina. Suor Bartolomea è libera e con piacere si offre di portarci a fare un giro per godere delle bellezze caratteristiche della zona, visto che il pozzo previsto con la macchina rotta non si può trivellare.
Programma: visita al “Sasso in Piedi”, quindi paesaggio rupestre con massi granitici affioranti dalle forme caratteristiche, a ognuna delle quali la nostra “guida” ha affibbiato il nome adeguato.
La Land Rover non vuol saperne di avviarsi, ma sotto la potente spinta di tre paia di solide braccia, alla fine deve cedere e si và.
Dopo il solito breve tratto di asfalto, ci si inoltra su tracce di sentiero appena intuibili. Alla guida del fuoristrada lei, suor Bartolomea, che con disinvoltura salta cunette, supera dossi e avvallamenti, evita cespugli e massi, fino a fermarsi nella radura davanti a noi.
Sullo sfondo un lago e una collinetta sormontata da una croce. Alla nostra destra, eccolo là. Si staglia in piedi il monolito chiamato Sasso in Piedi, un enorme masso granitico alto sei-otto metri, in bilico sulla sua base minore, tondeggiante, leggermente inclinato sulla sua parte più verticale, che sembra chiedersi se è giunto o no il momento giusto per rotolare giù dal suo piedistallo, pure di granito.
Appena sotto, addossata alla parte spiovente della roccia, una capra si ripara beata all’ombra del masso, per nulla intimorita dalla instabilità apparente. Si allontana solo quando suor Bartolomea e Rita cercano di raddrizzare il macigno puntellandolo con le mani …per la foto di rito!
Non resisto: mi arrampico fino in cima. Bel panorama… ed eccoli, posso vederli. Sbucano un po’ dappertutto, non so in base a quale inudibile richiamo.
Sono piccoli, belli, sporchi, tanti… ci circondano, accettano volentieri le caramelle e si fanno fotografare offrendo l’incantevole spettacolo dei loro corpi asciutti, delle loro vesti sdrucite ma dai colori sgargianti, delle loro pettinature assurde e meravigliose, dei loro visi, dei loro sorrisi bianchissimi, dei loro occhi neri e profondissimi. Sono i bambini Burkina-be!
Dobbiamo andare. Suor Bartolomea è perentoria: altrimenti saltano i programmi.
Ma prima faremo un salto al “Ponte dei Sospiri” (ma che siamo vicini a Venezia…?).
Certo non ci aspettavamo di aumentare così il numero dei passeggeri! Bimbi arrampicati sul tetto, abbarbicati al portellone posteriore della Land Rover, visi sorridenti che ti guardano divertiti dai vetri dei finestrini…
Ma non si faranno male? Suor Bartolomea, facciamoli scendere…
Ma evidentemente gli unici che non se lo aspettavano eravamo noi quattro sprovveduti cittadini, perché per suor Bartolomea è tutto naturale, scene di un film già visto. “Quando non ce la faranno più scenderanno, e comunque quando glielo dirò io, prima di abbandonare la loro zona…”
E così è: finito il giro turistico, sballottati a destra e a manca da suor Bartolomea sotto i nostri sguardi preoccupati, al comando tutti scendono e noi proseguiamo per …la Città dei Sassi.
L’ultimo tratto non è più neanche un sentiero. Fermiamo il fuoristrada in mezzo agli sterpi e ci avviamo verso quel paesaggio lunare, per quanto mi riguarda entusiasmante, costituito da affioramenti di grossi massi granitici, solitari o più spesso raccolti in gruppi, convergenti, divergenti, inclinati, massicci e di tutte le forme. Tra i diversi agglomerati, spiazzi brulli generati dal dilavamento delle acque e forme varie di erosione differenziata.
E’ il paradiso per il nostro geologo (Stefano da Milano). Ma è il paradiso anche per me! Mi arrampico su tutti i massi più alti che riesco a scalare, su spigoli, su placche lisce inclinate, attraverso camini naturali e saltando da un masso all’altro.
Da lassù posso fare un bel servizio al geologo: gli immortalo il panorama tutto intorno. Mi sarà riconoscente?
Suor Bartolomea ci indica le diverse forme. Ecco l’Elefante che Dorme, e il Cappello del Duce, (la Balena dov’è? Non la trovo…), ma soprattutto, tra tutte, quella di cui suor Bartolomea va più fiera: la Coppa del Mondo!
E’ un piacere vederla girare tra i massi, con quelle ciabattine da camera, con l’alluce del piede sinistro che la tormenta da qualche giorno e le fa vedere le stelle!
Ma lei non accenna neanche a lamentarsi, tornando ad essere la bambina che correva tutto il giorno tra le rocce anch’esse granitiche della sua Sardegna. Unica differenza (e non da poco): qui manca il mare. Ho trovato una cosa che mi accomuna a questa minuta e granitica donna missionaria: la passione e l’amore per le rocce. Ne sono fiero.
Ma purtroppo è ora di rientrare. Faccio un giro più lungo dei miei compagni per prolungare la mia estasi, ma alla fine mi riunisco al gruppo. Giusto in tempo per imbattermi in una donna dell’età del ferro, che con la sua zappa trogloditica (sì, fatta esattamente come allora!) scorteccia un cespuglio spinoso per ricavarne dell’erba commestibile (la fonte di informazioni è ovviamente facilmente immaginabile…).
Mi verrà più volte di ripensare a questo incontro, quando dai villaggi di paglia e fango vedrò spuntare uomini in bici o in motorino e col cellulare in mano, o quando al mercato incontrerò ragazze con la cesta delle vivande in equilibrio sulla testa dai capelli stirati e tinti di giallo.
Quante tappe evolutive sono state saltate a piedi pari? E’ possibile adattarsi a convivere con un gap tecnologico così evidente? La risposta è nei fatti. Dalle capanne di fango spuntano le parabole satellitari…
Prima di pranzo abbiamo il tempo per una visita all’ospedale della missione. In maternità un bambino appena nato. Nella stanzette malati in compagnia dei familiari; un omone tutto nudo per il caldo si prende il rimprovero di suor Bartolomea.
Più in là il pianto disperato di un bambino… Un medico gli sta medicando la ferita sotto il gesso che gli stringe il piede destro, da poco operato per riacquistare un po’ di quella normalità che la nascita travagliata gli ha negato anche alla mano destra.
Intorno altri bimbi e ragazzi con arti fasciati, convalescenti.
E’ così che vediamo all’opera Gualtiero, che avremo modo di apprezzare e conoscere meglio più in là, insieme a sua moglie Marisa…
Pomeriggio. Suor Bartolomea si è fasciata l’alluce insieme al secondo dito del piede sinistro (“così sta fermo…”); non può accompagnarci perché ha da fare, ma Stefano (veterano) sa la strada: andiamo a piedi a vedere il Baobab Gigante.
Il baobab è effettivamente uno spettacolo, con il suo tronco possente e compatto, attraversato da un foro che mette in comunicazione con la sua caverna interna, e con i suoi rami nodosi e contorti, ma alla fine sproporzionati, troppo piccoli se rapportati al tronco e alle radici, come braccia di un bambino focomelico.
Ma ciò che emoziona di più è ancora una volta l’incontro con i bimbi Burkina-be. Ne incontri subito qualcuno, appena fuori il presidio ospedaliero delle suore. Ma piano piano, senza che tu te ne renda subito conto, eccoli giungere da tutte le direzioni, spuntare dai villaggi di terra, dalle capanne di fango, dalle stradine polverose tra un muro di cinta e l’altro. Si avvicinano, cercano la tua mano, ti accompagnano per tutto il tragitto fino al ritorno a casa.
Ma non sono invadenti, non sono noiosi. E’ un piacere camminare con loro, tra loro, stringere cento manine “biciok” che ti salutano discrete. E che non vogliono lasciarti più. Se non sapessi di passare per stupido, direi che …te li porteresti tutti a casa.
Ci siamo portati dietro delle caramelle, che distribuiamo godendo della gioia dei bimbi.
Poco più avanti del Baobab Gigante c’è il pozzo di Pousga. E’ stato interamente finanziato da una ditta il cui stemma è stato riprodotto sul muro di contenimento, e per la quale andremo a fare le foto ufficiali domani. Non perdiamo occasione per vederlo in anticipo al naturale. Con nostra grande soddisfazione è in piena efficienza, con l’acqua che sgorga sotto la spinta della ruota della pompa Volanta, mossa a sua volta dalle donne dei villaggi vicini che fanno rifornimento di acqua. Era proprio quello che volevamo vedere!
Prima di rientrate, i bambini ci chiedono se domani ritorniamo.
4° giorno (martedì 10) – Pousga/Nohoungo/Gounrì
Siamo in visita ufficiale al pozzo di Pousga.
Solito tripudio di bambini! Foto di rito, questa volta con le magliette ufficiali dell’associazione.
Come al solito la cosa più bella, oltre al vedere l’acqua sgorgare sotto la spinta della pompa Volanta, è essere stretti dalla morsa dei bambini che ti cercano, ti toccano, si avvicinano discreti per essere presi per mano… ce ne vorrebbero cento di mani, per accontentarli tutti!
Non chiedono niente, si avvicinano, gli piace mettersi in posa per la foto e ridere, con una risata semplice e divertita, nel rivedersi e nel riconoscere i compagni che indicano per nome.
Ma ormai è ora di partire per Nohoungo, dove ci aspetta l’intero villaggio di Pascal, il nostro autista/cuoco/elettricista, per accoglierci in visita al secondo pozzo della giornata.
L’avvicinamento è il solito: un breve tratto sull’unica arteria asfaltata che dirige a sud, per poi deviare saltando la cunetta su una traccia di sterrata che si snoda tra gli arbusti secchi e i radi ma maestosi alberi di Baobab, su terreno arido e polveroso ora, ma che si tramuta in pantano durante la stagione delle piogge, tagliando di fatto fuori dal mondo i microvillaggi e gli aggregati monofamiliari che incontriamo per la strada. Preziosa fonte di informazioni è sempre Suor Bartolomea, che con la sua esperienza di oltre trent’anni di presenza in zona ci guida stoicamente nei nostri spostamenti intorno a Koupela, nonostante l’alluce dolorante!
Il villaggio di Pascal mi dà più la sensazione di aggregato abitativo rispetto a Mankarga V5. L’ambiente sembra meno arido, gli alberi sono più numerosi e più verdi. All’ingresso del villaggio ci sono anche due giganteschi “calcitrà” (non ne avevo mai sentito parlare prima…), piantati dai colonialisti francesi non so quanti anni fa, ma con effetto maestoso e suggestivo.
L’accoglienza è la solita, già raccontata ma di fatto indescrivibile per sensazioni suscitate. Lascio all’immaginazione di chi legge, con l’augurio di poter provare un giorno sensazioni simili.
Ci attende qui anche una nuova prova, molto dura dopo tutte le raccomandazioni della mamma e degli amici prima di partire: niente frutta e verdure crude, e soprattutto non bere liquidi se non imbottigliati…!
Bè, trovatevi un po’ voi al raduno dei vecchi del villaggio, riconoscenti per l’acqua del pozzo finanziato dall’associazione che voi rappresentate, e desiderosi di mostrare riconoscenza…
Una donna ci porta una conca con un liquido lattiginoso, non so cosa sia. Lo offre a Suor Bartolomea che inizia il giro. Io bevo… e devo dire che non è neanche male!
(Mamma, scusa ma stavolta ti ho disubbidito…).
I bambini del villaggio si riuniscono e cantano per noi, mamme e figli improvvisano una danza. Ai margini del cerchio della danza una donna alza con disinvoltura la maglietta, tira fuori un seno rigonfio che porge girando il capezzolo verso l’alto al figlioletto appeso in un foulard tra fianco e schiena…
Poi, solito giro di caramelle.
Torniamo alla missione, in tempo per una doccia e il pranzo di mezzogiorno, con un ospite in più: Padre Donat.
Dopo pranzo una gradita sorpresa: rappresentanti del villaggio di Pousga ci portano in dono per riconoscenza il loro caratteristico cappello a cono e …due galline, puntualmente finite nel pollaio della missione.
Alle tre del pomeriggio ripartiamo per un nuovo villaggio: Gounri.
Andiamo a prendere il Naba, lo “Chef”, il Capo del Villaggio. Ha la casa a Koupela paese…
Si presentano in tre, con tanto di divisa di rappresentanza: fez rosso a barattolo a righe in testa, tunica regolamentare riccamente ricamata, orologi e collane d’oro. Capo (anziano), capetto (giovane) e capettino (ragazzo).
Salgono su un furgonato Renault un po’ scassato (ma cosa sono quegli animali nel portabagagli…?), che per tenere fede alle apparenze si ferma appena dopo pochi chilometri di sterrata. Il cavetto del negativo della batteria si è fuso, ed ogni tentativo di ricollegarlo va in fumo perché c’è qualcosa in corto.
Poco male: tutti sul nostro fuoristrada, capo, capetto e capettino, con rispettivi bastoni del comando (gli animali no, gli animali restano lì).
Stefano fa miracoli alla guida ed arriviamo al pozzo.
Questa volta la sensazione non è la solita. Sembra quasi che la “Casta” dirigente si sia ritagliato il suo pozzettino personale. Ma c’è gente dai villaggi vicini che pompa e trasporta acqua, a garanzia che anche questo pozzo farà comunque il suo dovere.
La “Casta” ci porta a visitare i suoi “possedimenti” in riva al “fiume”; poi visita parenti e ringraziamenti di rito.
Torniamo verso casa, con capo, capetto e capettino, non senza aver caricato strada facendo le bestie: una capra e due polli più due sacchi di patate dolci, il tutto sistemato sul tetto del fuoristrada! E’ il regalo “regale” in ringraziamento per il pozzo realizzato.
Prima di rientrare in missione, visita alla “casa” regale di Koupela …dove scopriamo che esiste il Capone (non ci ha accompagnato perché non sta bene), che è sopra il capo, il capetto e il capettino, i quali si genuflettono ai suoi piedi con un rituale che mi mette un po’ in imbarazzo, come quando loro stessi erano stati omaggiati dagli abitanti del villaggio con riverenza e sottomissione. Decisamente tanto cerimoniale e tanta ostentazione non è per me. Con tutto il rispetto, torno volentieri alla missione.
Prima di cena qualcuno ci aiuta a scaricare le bestie…
5° giorno (mercoledì 11) – Giornata libera
E’ mattina presto, ma nel cortile della missione c’è già qualcuno che ci aspetta.
Alcuni rappresentanti del villaggio di Nohoungo sono venuti a recarci omaggio con dei doni che non ci avevano dato ieri: ancora tre polli e …un’altra capra! Ringraziamenti e foto insieme.
Per effetto dell’avaria alla trivella, ci ritroviamo con una giornata libera.
Approfittiamo per andare dall’Abbà Barnabè per richiedere le relazioni finali di trivellazione dei pozzi già realizzati. Il nostro geologo ha in testa un progetto di studio idrogeologico della zona, per cui serviranno anche le carte topografiche che abbiamo già ordinato presso l’istituto cartografico a Ouagadougou. Approfitto per dare una occhiata al cuore della pompa Volanta, geniale in quanto semplice ma funzionale. Ciò che serve da queste parti.
E’ ancora presto per onorare l’invito a pranzo di Marisa e Gualtiero, perciò ne approfittiamo per un giro al mercato di Koupela.
Colori, voci, odori… spazi stretti brulicanti di vita. Compriamo frutta e verdura per la missione e scattiamo foto, tante foto, troppe foto…
Mi sorprendo nel vedere l’addetto alla nettezza urbana al lavoro per le viuzze del mercato: un avvoltoio! Già, proprio un avvoltoio in penne e ossa. E fa bene e con dedizione il proprio lavoro, visto che non c’è traccia di cassonetti per la spazzatura.
Facciamo una visita veloce alla scuola materna della missione, dove una unica insegnante cerca di domare 99 alunni! Tra gli altri Mariella, la figlia di Pascal: è bellissima.
Verso mezzogiorno ci presentiamo a casa di Marisa e Guglielmo (vi ricordate il medico che curava i bimbi?). Insieme alla loro amica Iole, sono delle persone fuori dal comune.
Gualtiero ci raggiunge più tardi, stravolto per la fatica, dopo aver visitato l’ultimo paziente della mattinata.
Mangiamo dell’ottima pasta al pesto seguita da ben apprezzate melanzane alla parmigiana, mentre discutiamo della passione che ci accomuna, ognuno nel suo campo, nella solidarietà per i meno fortunati.
I nostri amici hanno costituito l’associazione “Ospedali in Burkina”, con la quale sperano di completare questo presidio sanitario garantendo l’indispensabile ed una presenza continuativa. Per questo c’è bisogno di adesioni da parte di molti medici per assicurare la turnificazione. Servono soprattutto ginecologi, chirurghi ortopedici e anestesisti, ma chiunque è il benvenuto.
Sono molto ammirati della nostra iniziativa; noi molto affascinati dalla loro.
Lo dico a Gualtiero, rispetto molto il suo operato e rilevo come la professione di medico ti metta in condizione di fare personalmente e concretamente qualcosa di tangibile in aiuto di chi ha bisogno. La sua risposta mi lascia di stucco e mi fa riflettere sulla bontà di quanto stiamo facendo con il progetto dei calendari: in sala operatoria si salva una vita alla volta; un pozzo ne salva centinaia!
Pomeriggio. Con suor Bartolomea ci rechiamo in visita ufficiale al pozzo di Ronsin, non molto distante da Koupela.
Ci aspettano i rappresentanti e tutto il villaggio, con i bambini al seguito.
Ormai la scena è nota, non mi ripeterò.
Dopo il bagno di folla e la distribuzione di caramelle, rientriamo alla base …con altri due inquilini per il pollaio della missione.
6° giorno (giovedì 12) – Gounghin
Stamattina partiamo con la Land Rover della missione, con Severin che ci fa da guida fino a Gounghin dove ci attende l’Abbà Pascal.
Il programma è intenso. Andremo a visitare tre pozzi realizzati nell’ambito della sua giurisdizione.
Ma prima visita di benvenuto presso il villaggio del capo.
Un paio di biciclette ci precedono facendoci strada lungo il sentiero che si snoda attraverso la sterpaglia. Il paesaggio è “isotropo”, è uguale in tutte le direzioni lo si guardi.
Tracce di sentiero si intersecano verso indefinibili destinazioni. Senza l’ausilio della guida potremmo girare in tondo indefinitamente, senza speranze…
Ma ecco comparire la nostra prima meta: il pozzo del villaggio di Piisizaoe. La solita folla ci attende: donne, vecchi, bambini… tanti bambini!
L’acqua sgorga!
Ormai la scena è nota. Ma stavolta la consapevolezza di contribuire a qualcosa di buono è forte quando i bimbi si riuniscono sotto il fiotto d’acqua spinto dalla pompa e si denudano, si bagnano, scherzano, si schizzano… giocano con quell’acqua preziosa che tutti noi abbiamo contribuito a rendere disponibile.
Scatto foto, il cuore si riempie di felicità, l’emozione è forte.
Salgo sul bordo del muro di cinta del pozzo per avere una visuale più ampia, e scatto foto dei visi, delle schiene bagnate, delle mani che cercano l’acqua, delle risate dai denti bianchissimi.
Poi lo vedo, il secchio poggiato sul bordo. E’ pieno per metà… La tentazione è troppo forte, …e il bagno è generale!
Dopo la distribuzione delle caramelle, il rientro al villaggio ci vengono offerte in dono le solite galline …e la capra. Abbà Pascal sarà contento…
Di seguito nella stessa mattinata maciniamo chilometri (non tanti) di polvere (tantissima!) per raggiungere altri due pozzi nei villaggi di Sawatin e Weefin.
Le scene di gioia si ripetono. E’ bello vedere i bimbi giocare con l’acqua che sgorga a fiotti dal pozzo. Dopo una settimana di permanenza a queste condizioni climatiche e polvere ci si chiede come si possa resistere senza disponibilità di acqua!
A Sawatin c’è una donna accoccolata in disparte all’ombra, a ridosso del muro di una capanna in fango. Mi avvicino, è una anziana, molto anziana. L’età è indefinibile; potrebbe avere cent’anni.
E’ magrissima, la pelle incartapecorita e grinzosa, gli occhi spenti.
Giace paziente all’ombra, attende…
Si lascia fotografare, foto rubate con la spiacevole sensazione di vouajerismo… ma voglio documentare.
Anche a Weefin la scena si ripete. E’ bello vedere che anche gli animali possono usufruire dell’acqua a buon mercato, attingendo dalla vasca di raccolta degli inevitabili sversamenti.
La struttura del pozzo è fatta apposta per raccogliere ciò che altrimenti andrebbe disperso, in modo da non sprecare nulla di questo liquido prezioso e vitale, e troppo spesso poco considerato da chi ne può godere a volontà.
Distribuzione caramelle. Rientro a Gounghin dove siamo ospiti dell’Abbà Pascal.
Pranzo molto tardi, faraona in regalo, saluti con l’augurio di rivederci presto. Rientro a Koupela con passaggio all’Ocades, dove non ritroviamo la segretaria col pancione (sapremo domani che in mattinata ha partorito un maschietto presso il dispensario della missione).
A seguire la indispensabile doccia, cena con le nostre squisite ospiti e meritato riposo.
7° giorno (venerdì 13) – Mogtedo
Alle otto si parte con il solito Honorè alla guida. Direzione Mogtedo, ma non prima di essere passati dall’Abbè Bernabè per ritirare i restanti resoconti di perforazione dei nostri pozzi. Non c’è ancora tutto, ma è un ulteriore passettino avanti…
Raggiungiamo Lucien che ci accompagna in una breve visita alla sua scuola: tre classi (piene di bimbi), una cucina, un refettorio, i bagni. Così come la vorremmo costruire noi a Mankarga V4. ma è costata 50.000 euro, e senza dimora per gli insegnanti… ce la faremo?
Il programma di oggi è percorrere un giro ad anello per vedere in funzione i pozzi dei due villaggi di Mogtedo V6 e Rapadama V2.
Il viaggio è lungo e accidentato, ma ormai siamo abituati. I fuoristrada fanno il loro dovere e ci portano alla prima destinazione.
Ormai conosciamo anche il cerimoniale: seduti sotto la tettoia con i capi e gli anziani del villaggio (le donne no, le donne danzano e cantano più in là o attingono acqua dal pozzo); distribuzione dell’acqua dell’amicizia (ora so che è una specie di orzata, ma fatta col miglio); discorso di ringraziamento e galline in omaggio. Ogni volta però non è mai come le precedenti.
Poi visita al pozzo, foto di rito e bagno tra i bambini! Dovessi scegliere cosa mi emoziona di più tra i bambini del Burkina Faso e l’acqua, non avrei dubbi: l’emozione più grande è vedere i bambini giocare chiassosamente con l’acqua che sgorga dal pozzo!
Di nuovo tutti in macchina, direzione Rapadama V2. il villaggio è di notevoli dimensioni. Ci sono diversi Naba dei nuclei abitativi circostanti serviti dal nostro pozzo. Solita cerimonia? Più o meno sì, ma come dicevo ogni volta è diverso. Questa volta ci emozioniamo al discorso del portavoce, e alla risposta di Stefano… (Cos’è questo umido sotto gli occhi? Sarà il sudore…).
Con i soliti polli, arrivano dei regali personalizzati: cappello tipico a cono e borsa a tracolla per noi maschietti, veste tradizionale completa e dai colori sgargianti per Rita. Lei l’’indossa con l’aiuto delle donne del villaggio e ne fa bella mostra tra gli applausi e le risate generali.
E’ ora di pranzo. Cominciamo ad intuire con una certa apprensione che …pranzeremo qui!
Mamma, in questo caso che mi avevi detto di fare? Questo caso non l’avevi contemplato nelle raccomandazioni! Sicuramente mi diresti di non accettare…
E come faccio? Ci sediamo, ci laviamo le mani versandoci a turno l’acqua di una brocca, ci guardiamo un po’ perplessi di fronte ad una scodella di riso/cuscus (bè, poteva andare peggio…) e un tegame di… con dentro… che cosa? Ci aiuta Liusien: è pesce!
Pesce? Sì, al sugo, da mettere sul cuscus di riso…
Ma che pesce è… non certo di mare! No, è di lago. Ma laghi non ce ne sono, ci sono solo stagni paludosi e melmosi. Infatti …è una specie di pesce gatto, con tanto di testa e baffoni! (poteva andare peggio?!?).
Per farla breve, qualcuno di noi cortesemente ma decisamente rifiuta; qualcuno si fa coraggio e assaggia; …qualcuno gradisce leccandosi letteralmente …i baffi!
(Mamma, scusa ma anche questa volta io non ti ho dato retta…).
Pomeriggio a Ouagadougou.
Abbiamo un po’ di cose da fare. Ritirare le carte topografiche della zona che il “geologo” ha ordinato per telefono; ritirare il bagaglio smarrito che ci è stato rispedito da Parigi; comprare i manghi per suor Bartolomea…
Alla fine riusciamo a fare tutto.
Ciò che resta impresso sono le contraddizioni della capitale: qui le case di paglia e fango convivono con palazzi pretenziosi, alberghi di vetro, ville con giardino, negozi e vetrine …con abiti da sposa!
Ah, e qui finalmente verifichiamo che in Burkina Faso ci sono anche le donne grasse. In giro per i villaggi ne avevo incontrata solo una, che pensavo fosse l’unica eccezione…
Spossati dopo una giornata di polvere e caldo, ci rigeneriamo con una doccia e dopo cena stramazziamo a letto.
8° giorno (sabato 14) – Mancarga V4
Oggi c’è la posa della prima pietra.
Il progetto della scuola con i mattoni da 5 euro è partito da qui, l’anno scorso, quando Stefano ha raccolto l’invito delle stesse persone alle quali avevamo appena portato l’acqua.
Ma ora l’impresa non sembra così facile: 35.000 euro da raccogliere per il solo nucleo delle tre classi non sono pochi.
Queste riflessioni ci accompagnano per tutta la colazione.
A proposito, suor Bartolomea: è un paio di giorni che non sento più il gallo che cantava imperterrito dalle cinque circa fino a giorno, con intervalli di mezzo minuto…
Ovvio, l’hai mangiato.
A Mankarga V4 ci attende l’intera popolazione vestita a festa, con il comitato d’onore radunato sotto la tettoia di fianco alla chiesa.
Il nostro pozzo è sempre lì, e fa meravigliosamente il suo dovere, anche con la leva dell’India al posto della ruota raggiata della Volanta. Poco oltre, l’orto!
L’ambiente è surreale, brullo, spazzato da un venticello che solleva nuvole e vortici di polvere rossiccia, che piano piano muta di colore i nostri vestiti. Cercare di restare decentemente puliti è una partita persa in partenza.
Destiamo curiosità, e questa volta ad essere fotografati siamo noi, con i telefoni cellulari!
La cerimonia ufficiale è completa, con tanto di striscione di benvenuto e speaker dotato di microfono. In nostro onore viene offerta l’acqua dell’amicizia, quindi si avvicendano discorsi delle autorità (tante!), canti e danze in costumi tradizionali, magistralmente ritmate da tamburi e grossolane nacchere di ferro.
Ci danno il sincero benvenuto, ci ringraziano più e più volte per il pozzo e …ci sono riconoscenti per la scuola che andremo a costruire.
Il nostro cuore è pesante, combattuto tra il desiderio di assicurare il nostro massimo impegno e l’ammettere la difficoltà dell’opera. Ci riusciremo? Quando?
Il nostro presidente non ama impegnarsi sulle possibilità, ma solo su ragionevoli certezze. Tutti i nostri dubbi vengono pertanto esternati, assieme all’assicurazione che ce la metteremo comunque tutta, assieme agli altri oltre 450 che rappresentiamo.
Capiscono. Ci ringraziano comunque… e ci chiedono, se possibile, anche un dispensario! Ma come… forse non ci siamo spiegati bene?!?
E’ bellissimo! E i bambini tutti meravigliosi come sempre. Anche quello Down…
Pranziamo con loro. Pasta e pollo al sugo. Mangiamo tutti (meno una).
E poi l’insalata dell’orto, condita con cipolle e cetrioli e non so quale salsa. Stavolta mangiamo tutti con gusto, compresa l’una di prima.
“M raccomando, fai attenzione a tutto, ma soprattutto non mangiare frutta e verdura se non cotta…”. Cari amici, mamma: vi chiedo scusa… Ma era l’insalata dell’orto annaffiato con l’acqua del pozzo di Mankarga V4!
Dopo le foto di rito ci spostiamo al “centro” del villaggio, dove Abbè Lucien deve benedire un nuovo “negozio” che ha appena aperto i “battenti” sulla “via” del “mercato”… (che parole grosse in questo contesto!).
Al rientro facciamo tappa per visitare anche il mercato di Mogtedo. Un brulicare di vita, motociclette in vendita a 610 euro, mescita della birra locale fatta col miglio, ragazze con ceste e vassoi in equilibrio sulla testa contenenti cibi non meglio identificabili, vesti coloratissime e acconciature artistiche. Compriamo le cipolle per la missione.
Come sempre scattiamo foto, anche se i veri soggetti sotto osservazione siamo noi. Ci guardano tutti con interesse e curiosità, sorridono; e ci rendiamo conto d’un tratto di essere gli unici quattro bianchi nel raggio di centinaia di chilometri (se si escludono poche eccezioni). Già, a pensarci bene da quando siamo arrivati qui ho incontrato quattro bianchi oltre noi, tutti alla missione: suor Bartolomea, Gualtiero, sua moglie Mariella e l’amica Iole… Sto bene lo stesso.
Ma ora dobbiamo rientrare di corsa a Koupela per una doccia improcrastinabile, non prima però di aver comprato il pane (anzi, venti pani, come da disposizioni di suor Bartolomea). Ma presto, sono quasi le sette…
9° giorno (domenica 15) – Ancora Mogtedo
E’ domenica.
Saremo ospiti a pranzo a Mogtedo, da Abbà Lucien e Abbà Jacob. Ma prima partecipiamo alla messa di Koupela con le nostre suore.
Pertanto sveglia prestissimo (tanto con questo caldo si dorme molto poco…), colazione alle sei e mezza e via in auto verso la cappella.
Quella stessa che era stato il nostro primo impatto con la gente del Burkina ben otto giorni fa!
Sono volati. Faticosi, ma decisamente intensi.
La funzione dura due ore abbondanti, poi con tutta calma ci avviamo verso Mogtedo, con la poderosa Ford Fiesta gentilmente messaci a disposizione dalle suore Camilliane.
Come arriviamo, sorpresa: Lucien ci attende sulla porta, non ci dà neanche il tempo di scendere. Mette la mascherina antipolvere e il casco, inforca la moto e ci precede lungo la strada per Mankarga…
Ma dove andiamo?
Lo scopriamo presto, dopo qualche chilometro di polvere.
Al villaggio di non so quale nome ci attende una folla festante. Sono i partecipanti alla marcia di Quaresima, che da Mogtedo li ha portati fin qui. Aspettano noi.
Nell’attesa danzano e cantano, sotto il ritmo festoso dei tamburi e degli xilofoni artigianali.
Appena arriviamo smettono e si radunano attorno a noi, ci accompagnano verso un altare improvvisato all’aperto, al fresco di un albero maestoso e delimitato dal grande telo di una tenda dell’Unicef riadattata allo scopo.
L’altare è un tavolo con telo colorato, sopra il quale Lucien srotola i suoi “attrezzi” del mestiere.
C’è anche il leggio, un trabiccolo improvvisato in legno, ma ricoperto di un panno riccamente ricamato.
Ho idea che dovremo assistere ad un’altra funzione! Due in un giorno, per me è decisamente tanto…
Ma non mi pesa. La funzione è gioiosa e partecipata, con canti e tamburi.
Si avvicinano due donne e due uomini vestiti per la festa. La donna più anziana ha in braccio un bimbo appena nato: lo porta per il battesimo, insieme al marito e ai padrini (non è come da noi?).
Durante la cerimonia a più riprese attacca con naturalezza il bimbo al suo seno, il che contribuisce a rendere l’ambiente tutto intorno altamente suggestivo. Mi sento un privilegiato…
Poi… arriva l’eucaristia.
Un fatto repentino, inaspettato. Che ha suscitato ilarità bonaria tra i miei compagni. Ma che mi ha colto di sorpresa e turbato non poco… un episodio che preferisco tenere per me. Un ulteriore tassello al miscuglio di emozioni che mi riporto a casa da questo viaggio.
Rientriamo a Mogtedo, non prima di aver gustato come antipasto un po’ del cibo locale, al quale ormai siamo assuefatti (tutti, tranne una…).
Verso le tre riusciamo a pranzare e a ripristinare le nostre riserve idriche vitali. Durante questi giorni non sento quasi mai lo stimolo di andare al bagno. Farò pipì una volta al giorno; il resto viene evacuato con la sudorazione.
Sempre dietro la moto di Lucien, ci rechiamo a vedere il “barrage”, il lago artificiale che quest’anno è ancora parzialmente pieno. Lo stesso che l’anno scorso Stefano ha immortalato nella foto del bambino che pesca nel fango, in seconda pagina del calendario Below 2009.
Per tutto il percorso, vegetazione lussureggiante favorita dal benefico influsso dell’acqua. Distese di risaie in cui contadini ricurvi su se stessi razzolano con l’acqua fino ai polpacci.
Sembra di aver cambiato paese, e siamo solo a qualche centinaio di metri dall’arsura e dalla polvere a cui ormai siamo abituati.
E prendi sempre più consapevolezza del miracolo dell’acqua.
Torniamo a Koupela, non senza aver salutato e ringraziato i nostri amici di Mogtedo, che ci ospiteranno comunque ancora domani a cena, per accompagnarci poi in aeroporto.
A Koupela ci aspetta la doccia, sempre molto bramata, e la cena dalle suore. E come se quanto hanno fatto per noi non fosse abbastanza, ecco spuntare sulle nostre sedie un regalino a testa. Al di là dell’oggetto di per sé molto carino, è il pensiero che ci fa venire il famoso “groppo” alla gola.
Ciò non ci impedisce però di apprezzare il capretto cucinato divinamente (ecco perché è un po’ di giorni che non sento più belare la mattina presto!), con contorno di patate dolci fritte e cipolle rosse cotte. Ho mangiato troppo, ma non potevo fare altrimenti!
Dopo cena le nostre suore assistono interessate e divertite alla proiezione del DVD prodotto in bozza dall’associazione.
10° giorno (lunedì 16) – Il rientro
E sì, siamo alla fine del viaggio…
Sono un po’ sospeso tra la necessità di riposare e la voglia di prolungare questa esperienza.
Per fortuna non devo fare scelte: volenti o nolenti, il rientro è d’obbligo.
Stamattina ce la prendiamo comoda. Recupero cose sparse da infilare in qualche modo nell’unica valigia, un po’ di pulizia nella stanza, mente locale per non scordare nulla.
Quello che dobbiamo lasciare alla missione è riposto ordinatamente sul tavolo; le medicine le portiamo presso l’infermeria del dispensario. Qui fanno più comodo che a noi…
Verso le dieci ci spostiamo al centro del villaggio. Passiamo all’Ocades per fare delle foto ai componenti cuore della pompa Volanta, per poi salutare l’Abbè Barnabè, con l’impegno di verificare la possibilità di reperire in Italia i pezzi di ricambio della trivella da inviare velocemente a guadagno di tempo. In cambio lui si impegna a dare corso prima possibile alla realizzazione dei tre pozzi già finanziati e che purtroppo non abbiamo potuto vedere in funzione.
Poi un ulteriore giro tra gli angusti camminamenti del mercato di Koupela. Mi stupisco di non vedere ancora gli spazzini all’opera, ma è solo questione di tempo: alzo gli occhi e li vedo avvitarsi in aria, posarsi sui fili della luce per avere sotto controllo il campo di azione, scendere in picchiata qualche isolato più in là per compiere il proprio dovere. Non c’è che dire: gli avvoltoi del comune svolgono con dedizione il proprio lavoro!
Pranziamo per l’ultima volta con le nostre suore.
Come non spendere una parola di riconoscimento e rispetto per il lavoro che queste donne fanno per le popolazioni locali. E un pensiero di viva riconoscenza per l’ospitalità che ci hanno regalato.
Un sentito ringraziamento alla Madre Superiora suor Noelì e a tutte le sorelle che ci hanno supportato e sopportato per tutti questi giorni di permanenza; e un mio pensiero particolare a quella bambina con alle spalle oltre trent’anni di attività missionaria che è suor Bartolomea…
Un abbraccio a tutte voi, e un arrivederci a presto (se non siamo stati troppo invadenti!).
Si avvicina l’ora. Alle cinque ci viene a prendere Honorè; giusto il tempo per una doccia veloce e un giro di saluti. Gualtiero lo troviamo intento al suo lavoro di assistenza ai pazienti del dispensario. Marisa la andiamo a salutare a casa.; Iole dorme, ce la saluterà lei.
Con il nostro autista personale percorriamo per l’ultima volta la strada per Mogtedo, dove Lucien e Jacob ci attendono per cenare insieme.
Cena ottima e abbondante, assieme a quelli che ormai possiamo considerare nostri amici, accomunati nell’intento di portare acqua là dove c’è più bisogno.
Dopo cena qualche foto e i saluti un po’ più mesti del solito. Poi ancora in viaggio verso Ouagadougou, dove l’aereo ci attende per il rientro.
Ma prima ancora una ultima sorpresa: l’”artista polivalente” dona a ciascuno di noi una statuetta stilizzata in legno, raffigurante un bimbo col viso teneramente immerso in una mano grande e protettiva…
E’ quasi mezzanotte. Siamo sull’aereo…
Fine delle trasmissioni.
(Massimo)
Le preoccupazioni prima della partenza sono le solite: Ste, tu che ci sei stato…
Che serve? Che mi devo portare?
Preoccupazioni inutili. Ora so che devi portare solo te stesso: è tutto quello di cui hai bisogno…
1° giorno (sabato 07) – Il viaggio
Fiumicino. Si parte male…
Un disguido sui bagagli: ok per 46 kg a testa, ma divisi in due da 23 al massimo. Sì, ma quando ce lo dite…?
Risolviamo il problema. Partiamo…
Verso le 20,30 siamo a Ouagadougou (sembra terribile, ma si legge facile: Uagadugù). Ovviamente manca un bagaglio. E ovviamente il borsone più grande, con vestiti, caramelle e medicinali da lasciare ai bimbi del Burkina!
(I bimbi del Burkina… ancora non so quanti e quanto belli siano! Ma è solo questione di tempo…)
Espletate le formalità per la denuncia (a mano su un foglio bianco e senza ricevuta), conosciamo finalmente i nostri referenti in loco.
Honorè ci trasferisce in Pick-up a Mogtedo, dove Padre Lucien e company ci ospitano per la cena. Staremo molto tempo con loro, ma non oggi. Dobbiamo raggiungere Koupela dove alloggeremo presso la missione delle suore Camilliane.
Un salto in chiesa giusto in tempo per conoscere Padre Jacob alla fine della funzione, i cui canti ci hanno affascinato per tutta la cena; poi via in macchina per Koupela, 140 km circa da Ouagadougou, 60 da Mogtedo.
Ci accoglie una donna minuta ma risoluta, si vede subito dai modi. Ci vengono indicate le nostre stanze, e all’una locale circa siamo a letto, un po’ stravolti e …molto accaldati!
Ma non mi è sfuggito l’evento più significativo della giornata: ho conosciuto Suor Bartolomea.
2° giorno (domenica 08) – Il pozzo in trivellazione
Oggi si va a Mankarga V5. Ci verrà a prendere Honorè dopo pranzo, ore 13:00.
C’è tutto il tempo per dilungarsi un po’ nel letto e per raggiungere le suore alla funzione domenicale.
Oggi è la festa della donna.
La chiesa di Koupela è un enorme capannone in tralicci di ferro ricoperto di lamiera ondulata. Ma è meravigliosamente colorato, per i disegni all’interno, ma soprattutto per i colori forti delle vesti dell’enorme quantità di gente che gremisce la funzione.
Salta subito all’occhio e all’orecchio la partecipazione gioiosa al rito, con canti, controcanti e battimani ritmati, che fa contrasto con la seriosità e ritualità compassata delle nostre funzioni religiose. Non sono credente, ma mi piace più qui.
Dopo la funzione un giro veloce per Koupela.
Il primo impatto con la gente è devastante, in senso positivo. Gente sorridente, gente colorata, capanne in mattoni di paglia e fango su cui poggiano instabili tettoie di pali e stuoie, vitalità frenetica e ozio sfrenato allo stesso tempo. Si può dormire dovunque, purché sia in ombra.
Ma soprattutto bambini, tanti, bellissimi! Capelli crespi, occhi nerissimi, luminosi e grandi tanto che ti ci puoi vedere riflesso (e non è un modo di dire…).
Vorresti immortalare tutto con l’ausilio di una, cento foto. Ma ti trattieni, per rispetto.
Almeno fino a quando non ti accorgi che amano essere fotografati, e rivedersi nel piccolo monitor della macchina digitale per ridere gioiosi e complici dei loro stessi ritratti. Questo delle foto ai bimbi sarà un appuntamento ricorrente nei giorni a venire.
Una tappa particolare la riserviamo alla “Casa dei 5 Euro”: il disegno è ancora lì; ci consentono con gioia di fotografare la casa e i bambini. Rita se ne ritrova uno piccolissimo in braccio, depositato dalla madre che poi sparisce per non so quali faccende…
Ma dobbiamo rientrare, per stare nei tempi. Il pranzo è piacevole con le suore della missione.
Puntualissimi, ci fanno sapere da Mogtedo che Honorè ci verrà a prendere …alle 15:00!
Strada per Mankarga V5.
Per la verità si può chiamare strada per il solo breve tratto asfaltato dell’arteria che collega Koupela a Ouagadougou; poi solo una traccia di sterrato nella brulla distesa arida, interrotta da radi cespugli e alberi che si ripetono uniformemente in tutte le direzioni.
In più di un’occasione le doti della Land Rover sono messe alla prova per superare fuori sentiero tratti di strada portati via dall’impeto delle piene nella stagione delle piogge e mai ripristinati.
Lungo il percorso persone a piedi, solitarie o in piccoli raggruppamenti, trabiccoli trainati da striminziti somarelli, biciclette, motorini… tutti portano carichi troppo grandi per il relativo mezzo di trasporto utilizzato, le mercanzie acquistate al mercato di Mogtedo e che faticosamente riportano ai villaggi a chilometri di distanza.
Tutti, indistintamente, fanno indigestione della polvere sollevata dai nostri fuoristrada…
Arriviamo. La trivella è già al lavoro dalla mattina, sotto gli sguardi attenti e curiosi di tutto il villaggio. L’acqua già sgorga, stanno misurando la portata. Due metri cubi l’ora: troppo poco per dichiarare il pozzo positivo.
Sono già a circa 50 metri; arriveranno fino ad oltre 85, ma l’acqua è sempre troppo poca. Il pozzo è purtroppo negativo!
Siamo stati sfortunati stavolta. Dovremo scavare un po’ più in là.
Ma non oggi, né domani, perché si è rotta la trivella…
Tutto il villaggio ci è comunque riconoscente, ci saluta con riverenza stringendoci la mano, una dieci, cento…!
Ci offrono da bere, improvvisano canti e danze per noi. Trascinano l’unica donna della nostra compagnia nella danza ritmata, scandita da battimani e …grandi colpi di anca una contro l’altra (sì, proprio come quel ballo che pensavamo di avere inventato da noi negli anni sessanta).
E’ divertente. Rita non si fa pregare ed affascina la folla con il suo sorriso, la spontaneità e la naturalezza nella partecipazione, tra i colori sgargianti delle vesti delle donne del villaggio.
Prima di andare, i vecchi ci offrono in dono in segno di riconoscenza …tre polli!
Sì, tre polli, vivi naturalmente... Che finiranno stasera nel pollaio della missione.
L’inconveniente alla trivella ci fa saltare tutti i programmi per domani, ma …si sa che non tutto il male viene per nuocere! Ma questa è un’altra storia, la racconterò più in là. Per ora rientro a Koupela e a letto.
3° giorno (lunedì 09) – La Città dei Sassi
Alle sette colazione, puntuali altrimenti suor Bartolomea si arrabbia.
Oggi è giornata festiva in Burkina. Suor Bartolomea è libera e con piacere si offre di portarci a fare un giro per godere delle bellezze caratteristiche della zona, visto che il pozzo previsto con la macchina rotta non si può trivellare.
Programma: visita al “Sasso in Piedi”, quindi paesaggio rupestre con massi granitici affioranti dalle forme caratteristiche, a ognuna delle quali la nostra “guida” ha affibbiato il nome adeguato.
La Land Rover non vuol saperne di avviarsi, ma sotto la potente spinta di tre paia di solide braccia, alla fine deve cedere e si và.
Dopo il solito breve tratto di asfalto, ci si inoltra su tracce di sentiero appena intuibili. Alla guida del fuoristrada lei, suor Bartolomea, che con disinvoltura salta cunette, supera dossi e avvallamenti, evita cespugli e massi, fino a fermarsi nella radura davanti a noi.
Sullo sfondo un lago e una collinetta sormontata da una croce. Alla nostra destra, eccolo là. Si staglia in piedi il monolito chiamato Sasso in Piedi, un enorme masso granitico alto sei-otto metri, in bilico sulla sua base minore, tondeggiante, leggermente inclinato sulla sua parte più verticale, che sembra chiedersi se è giunto o no il momento giusto per rotolare giù dal suo piedistallo, pure di granito.
Appena sotto, addossata alla parte spiovente della roccia, una capra si ripara beata all’ombra del masso, per nulla intimorita dalla instabilità apparente. Si allontana solo quando suor Bartolomea e Rita cercano di raddrizzare il macigno puntellandolo con le mani …per la foto di rito!
Non resisto: mi arrampico fino in cima. Bel panorama… ed eccoli, posso vederli. Sbucano un po’ dappertutto, non so in base a quale inudibile richiamo.
Sono piccoli, belli, sporchi, tanti… ci circondano, accettano volentieri le caramelle e si fanno fotografare offrendo l’incantevole spettacolo dei loro corpi asciutti, delle loro vesti sdrucite ma dai colori sgargianti, delle loro pettinature assurde e meravigliose, dei loro visi, dei loro sorrisi bianchissimi, dei loro occhi neri e profondissimi. Sono i bambini Burkina-be!
Dobbiamo andare. Suor Bartolomea è perentoria: altrimenti saltano i programmi.
Ma prima faremo un salto al “Ponte dei Sospiri” (ma che siamo vicini a Venezia…?).
Certo non ci aspettavamo di aumentare così il numero dei passeggeri! Bimbi arrampicati sul tetto, abbarbicati al portellone posteriore della Land Rover, visi sorridenti che ti guardano divertiti dai vetri dei finestrini…
Ma non si faranno male? Suor Bartolomea, facciamoli scendere…
Ma evidentemente gli unici che non se lo aspettavano eravamo noi quattro sprovveduti cittadini, perché per suor Bartolomea è tutto naturale, scene di un film già visto. “Quando non ce la faranno più scenderanno, e comunque quando glielo dirò io, prima di abbandonare la loro zona…”
E così è: finito il giro turistico, sballottati a destra e a manca da suor Bartolomea sotto i nostri sguardi preoccupati, al comando tutti scendono e noi proseguiamo per …la Città dei Sassi.
L’ultimo tratto non è più neanche un sentiero. Fermiamo il fuoristrada in mezzo agli sterpi e ci avviamo verso quel paesaggio lunare, per quanto mi riguarda entusiasmante, costituito da affioramenti di grossi massi granitici, solitari o più spesso raccolti in gruppi, convergenti, divergenti, inclinati, massicci e di tutte le forme. Tra i diversi agglomerati, spiazzi brulli generati dal dilavamento delle acque e forme varie di erosione differenziata.
E’ il paradiso per il nostro geologo (Stefano da Milano). Ma è il paradiso anche per me! Mi arrampico su tutti i massi più alti che riesco a scalare, su spigoli, su placche lisce inclinate, attraverso camini naturali e saltando da un masso all’altro.
Da lassù posso fare un bel servizio al geologo: gli immortalo il panorama tutto intorno. Mi sarà riconoscente?
Suor Bartolomea ci indica le diverse forme. Ecco l’Elefante che Dorme, e il Cappello del Duce, (la Balena dov’è? Non la trovo…), ma soprattutto, tra tutte, quella di cui suor Bartolomea va più fiera: la Coppa del Mondo!
E’ un piacere vederla girare tra i massi, con quelle ciabattine da camera, con l’alluce del piede sinistro che la tormenta da qualche giorno e le fa vedere le stelle!
Ma lei non accenna neanche a lamentarsi, tornando ad essere la bambina che correva tutto il giorno tra le rocce anch’esse granitiche della sua Sardegna. Unica differenza (e non da poco): qui manca il mare. Ho trovato una cosa che mi accomuna a questa minuta e granitica donna missionaria: la passione e l’amore per le rocce. Ne sono fiero.
Ma purtroppo è ora di rientrare. Faccio un giro più lungo dei miei compagni per prolungare la mia estasi, ma alla fine mi riunisco al gruppo. Giusto in tempo per imbattermi in una donna dell’età del ferro, che con la sua zappa trogloditica (sì, fatta esattamente come allora!) scorteccia un cespuglio spinoso per ricavarne dell’erba commestibile (la fonte di informazioni è ovviamente facilmente immaginabile…).
Mi verrà più volte di ripensare a questo incontro, quando dai villaggi di paglia e fango vedrò spuntare uomini in bici o in motorino e col cellulare in mano, o quando al mercato incontrerò ragazze con la cesta delle vivande in equilibrio sulla testa dai capelli stirati e tinti di giallo.
Quante tappe evolutive sono state saltate a piedi pari? E’ possibile adattarsi a convivere con un gap tecnologico così evidente? La risposta è nei fatti. Dalle capanne di fango spuntano le parabole satellitari…
Prima di pranzo abbiamo il tempo per una visita all’ospedale della missione. In maternità un bambino appena nato. Nella stanzette malati in compagnia dei familiari; un omone tutto nudo per il caldo si prende il rimprovero di suor Bartolomea.
Più in là il pianto disperato di un bambino… Un medico gli sta medicando la ferita sotto il gesso che gli stringe il piede destro, da poco operato per riacquistare un po’ di quella normalità che la nascita travagliata gli ha negato anche alla mano destra.
Intorno altri bimbi e ragazzi con arti fasciati, convalescenti.
E’ così che vediamo all’opera Gualtiero, che avremo modo di apprezzare e conoscere meglio più in là, insieme a sua moglie Marisa…
Pomeriggio. Suor Bartolomea si è fasciata l’alluce insieme al secondo dito del piede sinistro (“così sta fermo…”); non può accompagnarci perché ha da fare, ma Stefano (veterano) sa la strada: andiamo a piedi a vedere il Baobab Gigante.
Il baobab è effettivamente uno spettacolo, con il suo tronco possente e compatto, attraversato da un foro che mette in comunicazione con la sua caverna interna, e con i suoi rami nodosi e contorti, ma alla fine sproporzionati, troppo piccoli se rapportati al tronco e alle radici, come braccia di un bambino focomelico.
Ma ciò che emoziona di più è ancora una volta l’incontro con i bimbi Burkina-be. Ne incontri subito qualcuno, appena fuori il presidio ospedaliero delle suore. Ma piano piano, senza che tu te ne renda subito conto, eccoli giungere da tutte le direzioni, spuntare dai villaggi di terra, dalle capanne di fango, dalle stradine polverose tra un muro di cinta e l’altro. Si avvicinano, cercano la tua mano, ti accompagnano per tutto il tragitto fino al ritorno a casa.
Ma non sono invadenti, non sono noiosi. E’ un piacere camminare con loro, tra loro, stringere cento manine “biciok” che ti salutano discrete. E che non vogliono lasciarti più. Se non sapessi di passare per stupido, direi che …te li porteresti tutti a casa.
Ci siamo portati dietro delle caramelle, che distribuiamo godendo della gioia dei bimbi.
Poco più avanti del Baobab Gigante c’è il pozzo di Pousga. E’ stato interamente finanziato da una ditta il cui stemma è stato riprodotto sul muro di contenimento, e per la quale andremo a fare le foto ufficiali domani. Non perdiamo occasione per vederlo in anticipo al naturale. Con nostra grande soddisfazione è in piena efficienza, con l’acqua che sgorga sotto la spinta della ruota della pompa Volanta, mossa a sua volta dalle donne dei villaggi vicini che fanno rifornimento di acqua. Era proprio quello che volevamo vedere!
Prima di rientrate, i bambini ci chiedono se domani ritorniamo.
4° giorno (martedì 10) – Pousga/Nohoungo/Gounrì
Siamo in visita ufficiale al pozzo di Pousga.
Solito tripudio di bambini! Foto di rito, questa volta con le magliette ufficiali dell’associazione.
Come al solito la cosa più bella, oltre al vedere l’acqua sgorgare sotto la spinta della pompa Volanta, è essere stretti dalla morsa dei bambini che ti cercano, ti toccano, si avvicinano discreti per essere presi per mano… ce ne vorrebbero cento di mani, per accontentarli tutti!
Non chiedono niente, si avvicinano, gli piace mettersi in posa per la foto e ridere, con una risata semplice e divertita, nel rivedersi e nel riconoscere i compagni che indicano per nome.
Ma ormai è ora di partire per Nohoungo, dove ci aspetta l’intero villaggio di Pascal, il nostro autista/cuoco/elettricista, per accoglierci in visita al secondo pozzo della giornata.
L’avvicinamento è il solito: un breve tratto sull’unica arteria asfaltata che dirige a sud, per poi deviare saltando la cunetta su una traccia di sterrata che si snoda tra gli arbusti secchi e i radi ma maestosi alberi di Baobab, su terreno arido e polveroso ora, ma che si tramuta in pantano durante la stagione delle piogge, tagliando di fatto fuori dal mondo i microvillaggi e gli aggregati monofamiliari che incontriamo per la strada. Preziosa fonte di informazioni è sempre Suor Bartolomea, che con la sua esperienza di oltre trent’anni di presenza in zona ci guida stoicamente nei nostri spostamenti intorno a Koupela, nonostante l’alluce dolorante!
Il villaggio di Pascal mi dà più la sensazione di aggregato abitativo rispetto a Mankarga V5. L’ambiente sembra meno arido, gli alberi sono più numerosi e più verdi. All’ingresso del villaggio ci sono anche due giganteschi “calcitrà” (non ne avevo mai sentito parlare prima…), piantati dai colonialisti francesi non so quanti anni fa, ma con effetto maestoso e suggestivo.
L’accoglienza è la solita, già raccontata ma di fatto indescrivibile per sensazioni suscitate. Lascio all’immaginazione di chi legge, con l’augurio di poter provare un giorno sensazioni simili.
Ci attende qui anche una nuova prova, molto dura dopo tutte le raccomandazioni della mamma e degli amici prima di partire: niente frutta e verdure crude, e soprattutto non bere liquidi se non imbottigliati…!
Bè, trovatevi un po’ voi al raduno dei vecchi del villaggio, riconoscenti per l’acqua del pozzo finanziato dall’associazione che voi rappresentate, e desiderosi di mostrare riconoscenza…
Una donna ci porta una conca con un liquido lattiginoso, non so cosa sia. Lo offre a Suor Bartolomea che inizia il giro. Io bevo… e devo dire che non è neanche male!
(Mamma, scusa ma stavolta ti ho disubbidito…).
I bambini del villaggio si riuniscono e cantano per noi, mamme e figli improvvisano una danza. Ai margini del cerchio della danza una donna alza con disinvoltura la maglietta, tira fuori un seno rigonfio che porge girando il capezzolo verso l’alto al figlioletto appeso in un foulard tra fianco e schiena…
Poi, solito giro di caramelle.
Torniamo alla missione, in tempo per una doccia e il pranzo di mezzogiorno, con un ospite in più: Padre Donat.
Dopo pranzo una gradita sorpresa: rappresentanti del villaggio di Pousga ci portano in dono per riconoscenza il loro caratteristico cappello a cono e …due galline, puntualmente finite nel pollaio della missione.
Alle tre del pomeriggio ripartiamo per un nuovo villaggio: Gounri.
Andiamo a prendere il Naba, lo “Chef”, il Capo del Villaggio. Ha la casa a Koupela paese…
Si presentano in tre, con tanto di divisa di rappresentanza: fez rosso a barattolo a righe in testa, tunica regolamentare riccamente ricamata, orologi e collane d’oro. Capo (anziano), capetto (giovane) e capettino (ragazzo).
Salgono su un furgonato Renault un po’ scassato (ma cosa sono quegli animali nel portabagagli…?), che per tenere fede alle apparenze si ferma appena dopo pochi chilometri di sterrata. Il cavetto del negativo della batteria si è fuso, ed ogni tentativo di ricollegarlo va in fumo perché c’è qualcosa in corto.
Poco male: tutti sul nostro fuoristrada, capo, capetto e capettino, con rispettivi bastoni del comando (gli animali no, gli animali restano lì).
Stefano fa miracoli alla guida ed arriviamo al pozzo.
Questa volta la sensazione non è la solita. Sembra quasi che la “Casta” dirigente si sia ritagliato il suo pozzettino personale. Ma c’è gente dai villaggi vicini che pompa e trasporta acqua, a garanzia che anche questo pozzo farà comunque il suo dovere.
La “Casta” ci porta a visitare i suoi “possedimenti” in riva al “fiume”; poi visita parenti e ringraziamenti di rito.
Torniamo verso casa, con capo, capetto e capettino, non senza aver caricato strada facendo le bestie: una capra e due polli più due sacchi di patate dolci, il tutto sistemato sul tetto del fuoristrada! E’ il regalo “regale” in ringraziamento per il pozzo realizzato.
Prima di rientrare in missione, visita alla “casa” regale di Koupela …dove scopriamo che esiste il Capone (non ci ha accompagnato perché non sta bene), che è sopra il capo, il capetto e il capettino, i quali si genuflettono ai suoi piedi con un rituale che mi mette un po’ in imbarazzo, come quando loro stessi erano stati omaggiati dagli abitanti del villaggio con riverenza e sottomissione. Decisamente tanto cerimoniale e tanta ostentazione non è per me. Con tutto il rispetto, torno volentieri alla missione.
Prima di cena qualcuno ci aiuta a scaricare le bestie…
5° giorno (mercoledì 11) – Giornata libera
E’ mattina presto, ma nel cortile della missione c’è già qualcuno che ci aspetta.
Alcuni rappresentanti del villaggio di Nohoungo sono venuti a recarci omaggio con dei doni che non ci avevano dato ieri: ancora tre polli e …un’altra capra! Ringraziamenti e foto insieme.
Per effetto dell’avaria alla trivella, ci ritroviamo con una giornata libera.
Approfittiamo per andare dall’Abbà Barnabè per richiedere le relazioni finali di trivellazione dei pozzi già realizzati. Il nostro geologo ha in testa un progetto di studio idrogeologico della zona, per cui serviranno anche le carte topografiche che abbiamo già ordinato presso l’istituto cartografico a Ouagadougou. Approfitto per dare una occhiata al cuore della pompa Volanta, geniale in quanto semplice ma funzionale. Ciò che serve da queste parti.
E’ ancora presto per onorare l’invito a pranzo di Marisa e Gualtiero, perciò ne approfittiamo per un giro al mercato di Koupela.
Colori, voci, odori… spazi stretti brulicanti di vita. Compriamo frutta e verdura per la missione e scattiamo foto, tante foto, troppe foto…
Mi sorprendo nel vedere l’addetto alla nettezza urbana al lavoro per le viuzze del mercato: un avvoltoio! Già, proprio un avvoltoio in penne e ossa. E fa bene e con dedizione il proprio lavoro, visto che non c’è traccia di cassonetti per la spazzatura.
Facciamo una visita veloce alla scuola materna della missione, dove una unica insegnante cerca di domare 99 alunni! Tra gli altri Mariella, la figlia di Pascal: è bellissima.
Verso mezzogiorno ci presentiamo a casa di Marisa e Guglielmo (vi ricordate il medico che curava i bimbi?). Insieme alla loro amica Iole, sono delle persone fuori dal comune.
Gualtiero ci raggiunge più tardi, stravolto per la fatica, dopo aver visitato l’ultimo paziente della mattinata.
Mangiamo dell’ottima pasta al pesto seguita da ben apprezzate melanzane alla parmigiana, mentre discutiamo della passione che ci accomuna, ognuno nel suo campo, nella solidarietà per i meno fortunati.
I nostri amici hanno costituito l’associazione “Ospedali in Burkina”, con la quale sperano di completare questo presidio sanitario garantendo l’indispensabile ed una presenza continuativa. Per questo c’è bisogno di adesioni da parte di molti medici per assicurare la turnificazione. Servono soprattutto ginecologi, chirurghi ortopedici e anestesisti, ma chiunque è il benvenuto.
Sono molto ammirati della nostra iniziativa; noi molto affascinati dalla loro.
Lo dico a Gualtiero, rispetto molto il suo operato e rilevo come la professione di medico ti metta in condizione di fare personalmente e concretamente qualcosa di tangibile in aiuto di chi ha bisogno. La sua risposta mi lascia di stucco e mi fa riflettere sulla bontà di quanto stiamo facendo con il progetto dei calendari: in sala operatoria si salva una vita alla volta; un pozzo ne salva centinaia!
Pomeriggio. Con suor Bartolomea ci rechiamo in visita ufficiale al pozzo di Ronsin, non molto distante da Koupela.
Ci aspettano i rappresentanti e tutto il villaggio, con i bambini al seguito.
Ormai la scena è nota, non mi ripeterò.
Dopo il bagno di folla e la distribuzione di caramelle, rientriamo alla base …con altri due inquilini per il pollaio della missione.
6° giorno (giovedì 12) – Gounghin
Stamattina partiamo con la Land Rover della missione, con Severin che ci fa da guida fino a Gounghin dove ci attende l’Abbà Pascal.
Il programma è intenso. Andremo a visitare tre pozzi realizzati nell’ambito della sua giurisdizione.
Ma prima visita di benvenuto presso il villaggio del capo.
Un paio di biciclette ci precedono facendoci strada lungo il sentiero che si snoda attraverso la sterpaglia. Il paesaggio è “isotropo”, è uguale in tutte le direzioni lo si guardi.
Tracce di sentiero si intersecano verso indefinibili destinazioni. Senza l’ausilio della guida potremmo girare in tondo indefinitamente, senza speranze…
Ma ecco comparire la nostra prima meta: il pozzo del villaggio di Piisizaoe. La solita folla ci attende: donne, vecchi, bambini… tanti bambini!
L’acqua sgorga!
Ormai la scena è nota. Ma stavolta la consapevolezza di contribuire a qualcosa di buono è forte quando i bimbi si riuniscono sotto il fiotto d’acqua spinto dalla pompa e si denudano, si bagnano, scherzano, si schizzano… giocano con quell’acqua preziosa che tutti noi abbiamo contribuito a rendere disponibile.
Scatto foto, il cuore si riempie di felicità, l’emozione è forte.
Salgo sul bordo del muro di cinta del pozzo per avere una visuale più ampia, e scatto foto dei visi, delle schiene bagnate, delle mani che cercano l’acqua, delle risate dai denti bianchissimi.
Poi lo vedo, il secchio poggiato sul bordo. E’ pieno per metà… La tentazione è troppo forte, …e il bagno è generale!
Dopo la distribuzione delle caramelle, il rientro al villaggio ci vengono offerte in dono le solite galline …e la capra. Abbà Pascal sarà contento…
Di seguito nella stessa mattinata maciniamo chilometri (non tanti) di polvere (tantissima!) per raggiungere altri due pozzi nei villaggi di Sawatin e Weefin.
Le scene di gioia si ripetono. E’ bello vedere i bimbi giocare con l’acqua che sgorga a fiotti dal pozzo. Dopo una settimana di permanenza a queste condizioni climatiche e polvere ci si chiede come si possa resistere senza disponibilità di acqua!
A Sawatin c’è una donna accoccolata in disparte all’ombra, a ridosso del muro di una capanna in fango. Mi avvicino, è una anziana, molto anziana. L’età è indefinibile; potrebbe avere cent’anni.
E’ magrissima, la pelle incartapecorita e grinzosa, gli occhi spenti.
Giace paziente all’ombra, attende…
Si lascia fotografare, foto rubate con la spiacevole sensazione di vouajerismo… ma voglio documentare.
Anche a Weefin la scena si ripete. E’ bello vedere che anche gli animali possono usufruire dell’acqua a buon mercato, attingendo dalla vasca di raccolta degli inevitabili sversamenti.
La struttura del pozzo è fatta apposta per raccogliere ciò che altrimenti andrebbe disperso, in modo da non sprecare nulla di questo liquido prezioso e vitale, e troppo spesso poco considerato da chi ne può godere a volontà.
Distribuzione caramelle. Rientro a Gounghin dove siamo ospiti dell’Abbà Pascal.
Pranzo molto tardi, faraona in regalo, saluti con l’augurio di rivederci presto. Rientro a Koupela con passaggio all’Ocades, dove non ritroviamo la segretaria col pancione (sapremo domani che in mattinata ha partorito un maschietto presso il dispensario della missione).
A seguire la indispensabile doccia, cena con le nostre squisite ospiti e meritato riposo.
7° giorno (venerdì 13) – Mogtedo
Alle otto si parte con il solito Honorè alla guida. Direzione Mogtedo, ma non prima di essere passati dall’Abbè Bernabè per ritirare i restanti resoconti di perforazione dei nostri pozzi. Non c’è ancora tutto, ma è un ulteriore passettino avanti…
Raggiungiamo Lucien che ci accompagna in una breve visita alla sua scuola: tre classi (piene di bimbi), una cucina, un refettorio, i bagni. Così come la vorremmo costruire noi a Mankarga V4. ma è costata 50.000 euro, e senza dimora per gli insegnanti… ce la faremo?
Il programma di oggi è percorrere un giro ad anello per vedere in funzione i pozzi dei due villaggi di Mogtedo V6 e Rapadama V2.
Il viaggio è lungo e accidentato, ma ormai siamo abituati. I fuoristrada fanno il loro dovere e ci portano alla prima destinazione.
Ormai conosciamo anche il cerimoniale: seduti sotto la tettoia con i capi e gli anziani del villaggio (le donne no, le donne danzano e cantano più in là o attingono acqua dal pozzo); distribuzione dell’acqua dell’amicizia (ora so che è una specie di orzata, ma fatta col miglio); discorso di ringraziamento e galline in omaggio. Ogni volta però non è mai come le precedenti.
Poi visita al pozzo, foto di rito e bagno tra i bambini! Dovessi scegliere cosa mi emoziona di più tra i bambini del Burkina Faso e l’acqua, non avrei dubbi: l’emozione più grande è vedere i bambini giocare chiassosamente con l’acqua che sgorga dal pozzo!
Di nuovo tutti in macchina, direzione Rapadama V2. il villaggio è di notevoli dimensioni. Ci sono diversi Naba dei nuclei abitativi circostanti serviti dal nostro pozzo. Solita cerimonia? Più o meno sì, ma come dicevo ogni volta è diverso. Questa volta ci emozioniamo al discorso del portavoce, e alla risposta di Stefano… (Cos’è questo umido sotto gli occhi? Sarà il sudore…).
Con i soliti polli, arrivano dei regali personalizzati: cappello tipico a cono e borsa a tracolla per noi maschietti, veste tradizionale completa e dai colori sgargianti per Rita. Lei l’’indossa con l’aiuto delle donne del villaggio e ne fa bella mostra tra gli applausi e le risate generali.
E’ ora di pranzo. Cominciamo ad intuire con una certa apprensione che …pranzeremo qui!
Mamma, in questo caso che mi avevi detto di fare? Questo caso non l’avevi contemplato nelle raccomandazioni! Sicuramente mi diresti di non accettare…
E come faccio? Ci sediamo, ci laviamo le mani versandoci a turno l’acqua di una brocca, ci guardiamo un po’ perplessi di fronte ad una scodella di riso/cuscus (bè, poteva andare peggio…) e un tegame di… con dentro… che cosa? Ci aiuta Liusien: è pesce!
Pesce? Sì, al sugo, da mettere sul cuscus di riso…
Ma che pesce è… non certo di mare! No, è di lago. Ma laghi non ce ne sono, ci sono solo stagni paludosi e melmosi. Infatti …è una specie di pesce gatto, con tanto di testa e baffoni! (poteva andare peggio?!?).
Per farla breve, qualcuno di noi cortesemente ma decisamente rifiuta; qualcuno si fa coraggio e assaggia; …qualcuno gradisce leccandosi letteralmente …i baffi!
(Mamma, scusa ma anche questa volta io non ti ho dato retta…).
Pomeriggio a Ouagadougou.
Abbiamo un po’ di cose da fare. Ritirare le carte topografiche della zona che il “geologo” ha ordinato per telefono; ritirare il bagaglio smarrito che ci è stato rispedito da Parigi; comprare i manghi per suor Bartolomea…
Alla fine riusciamo a fare tutto.
Ciò che resta impresso sono le contraddizioni della capitale: qui le case di paglia e fango convivono con palazzi pretenziosi, alberghi di vetro, ville con giardino, negozi e vetrine …con abiti da sposa!
Ah, e qui finalmente verifichiamo che in Burkina Faso ci sono anche le donne grasse. In giro per i villaggi ne avevo incontrata solo una, che pensavo fosse l’unica eccezione…
Spossati dopo una giornata di polvere e caldo, ci rigeneriamo con una doccia e dopo cena stramazziamo a letto.
8° giorno (sabato 14) – Mancarga V4
Oggi c’è la posa della prima pietra.
Il progetto della scuola con i mattoni da 5 euro è partito da qui, l’anno scorso, quando Stefano ha raccolto l’invito delle stesse persone alle quali avevamo appena portato l’acqua.
Ma ora l’impresa non sembra così facile: 35.000 euro da raccogliere per il solo nucleo delle tre classi non sono pochi.
Queste riflessioni ci accompagnano per tutta la colazione.
A proposito, suor Bartolomea: è un paio di giorni che non sento più il gallo che cantava imperterrito dalle cinque circa fino a giorno, con intervalli di mezzo minuto…
Ovvio, l’hai mangiato.
A Mankarga V4 ci attende l’intera popolazione vestita a festa, con il comitato d’onore radunato sotto la tettoia di fianco alla chiesa.
Il nostro pozzo è sempre lì, e fa meravigliosamente il suo dovere, anche con la leva dell’India al posto della ruota raggiata della Volanta. Poco oltre, l’orto!
L’ambiente è surreale, brullo, spazzato da un venticello che solleva nuvole e vortici di polvere rossiccia, che piano piano muta di colore i nostri vestiti. Cercare di restare decentemente puliti è una partita persa in partenza.
Destiamo curiosità, e questa volta ad essere fotografati siamo noi, con i telefoni cellulari!
La cerimonia ufficiale è completa, con tanto di striscione di benvenuto e speaker dotato di microfono. In nostro onore viene offerta l’acqua dell’amicizia, quindi si avvicendano discorsi delle autorità (tante!), canti e danze in costumi tradizionali, magistralmente ritmate da tamburi e grossolane nacchere di ferro.
Ci danno il sincero benvenuto, ci ringraziano più e più volte per il pozzo e …ci sono riconoscenti per la scuola che andremo a costruire.
Il nostro cuore è pesante, combattuto tra il desiderio di assicurare il nostro massimo impegno e l’ammettere la difficoltà dell’opera. Ci riusciremo? Quando?
Il nostro presidente non ama impegnarsi sulle possibilità, ma solo su ragionevoli certezze. Tutti i nostri dubbi vengono pertanto esternati, assieme all’assicurazione che ce la metteremo comunque tutta, assieme agli altri oltre 450 che rappresentiamo.
Capiscono. Ci ringraziano comunque… e ci chiedono, se possibile, anche un dispensario! Ma come… forse non ci siamo spiegati bene?!?
E’ bellissimo! E i bambini tutti meravigliosi come sempre. Anche quello Down…
Pranziamo con loro. Pasta e pollo al sugo. Mangiamo tutti (meno una).
E poi l’insalata dell’orto, condita con cipolle e cetrioli e non so quale salsa. Stavolta mangiamo tutti con gusto, compresa l’una di prima.
“M raccomando, fai attenzione a tutto, ma soprattutto non mangiare frutta e verdura se non cotta…”. Cari amici, mamma: vi chiedo scusa… Ma era l’insalata dell’orto annaffiato con l’acqua del pozzo di Mankarga V4!
Dopo le foto di rito ci spostiamo al “centro” del villaggio, dove Abbè Lucien deve benedire un nuovo “negozio” che ha appena aperto i “battenti” sulla “via” del “mercato”… (che parole grosse in questo contesto!).
Al rientro facciamo tappa per visitare anche il mercato di Mogtedo. Un brulicare di vita, motociclette in vendita a 610 euro, mescita della birra locale fatta col miglio, ragazze con ceste e vassoi in equilibrio sulla testa contenenti cibi non meglio identificabili, vesti coloratissime e acconciature artistiche. Compriamo le cipolle per la missione.
Come sempre scattiamo foto, anche se i veri soggetti sotto osservazione siamo noi. Ci guardano tutti con interesse e curiosità, sorridono; e ci rendiamo conto d’un tratto di essere gli unici quattro bianchi nel raggio di centinaia di chilometri (se si escludono poche eccezioni). Già, a pensarci bene da quando siamo arrivati qui ho incontrato quattro bianchi oltre noi, tutti alla missione: suor Bartolomea, Gualtiero, sua moglie Mariella e l’amica Iole… Sto bene lo stesso.
Ma ora dobbiamo rientrare di corsa a Koupela per una doccia improcrastinabile, non prima però di aver comprato il pane (anzi, venti pani, come da disposizioni di suor Bartolomea). Ma presto, sono quasi le sette…
9° giorno (domenica 15) – Ancora Mogtedo
E’ domenica.
Saremo ospiti a pranzo a Mogtedo, da Abbà Lucien e Abbà Jacob. Ma prima partecipiamo alla messa di Koupela con le nostre suore.
Pertanto sveglia prestissimo (tanto con questo caldo si dorme molto poco…), colazione alle sei e mezza e via in auto verso la cappella.
Quella stessa che era stato il nostro primo impatto con la gente del Burkina ben otto giorni fa!
Sono volati. Faticosi, ma decisamente intensi.
La funzione dura due ore abbondanti, poi con tutta calma ci avviamo verso Mogtedo, con la poderosa Ford Fiesta gentilmente messaci a disposizione dalle suore Camilliane.
Come arriviamo, sorpresa: Lucien ci attende sulla porta, non ci dà neanche il tempo di scendere. Mette la mascherina antipolvere e il casco, inforca la moto e ci precede lungo la strada per Mankarga…
Ma dove andiamo?
Lo scopriamo presto, dopo qualche chilometro di polvere.
Al villaggio di non so quale nome ci attende una folla festante. Sono i partecipanti alla marcia di Quaresima, che da Mogtedo li ha portati fin qui. Aspettano noi.
Nell’attesa danzano e cantano, sotto il ritmo festoso dei tamburi e degli xilofoni artigianali.
Appena arriviamo smettono e si radunano attorno a noi, ci accompagnano verso un altare improvvisato all’aperto, al fresco di un albero maestoso e delimitato dal grande telo di una tenda dell’Unicef riadattata allo scopo.
L’altare è un tavolo con telo colorato, sopra il quale Lucien srotola i suoi “attrezzi” del mestiere.
C’è anche il leggio, un trabiccolo improvvisato in legno, ma ricoperto di un panno riccamente ricamato.
Ho idea che dovremo assistere ad un’altra funzione! Due in un giorno, per me è decisamente tanto…
Ma non mi pesa. La funzione è gioiosa e partecipata, con canti e tamburi.
Si avvicinano due donne e due uomini vestiti per la festa. La donna più anziana ha in braccio un bimbo appena nato: lo porta per il battesimo, insieme al marito e ai padrini (non è come da noi?).
Durante la cerimonia a più riprese attacca con naturalezza il bimbo al suo seno, il che contribuisce a rendere l’ambiente tutto intorno altamente suggestivo. Mi sento un privilegiato…
Poi… arriva l’eucaristia.
Un fatto repentino, inaspettato. Che ha suscitato ilarità bonaria tra i miei compagni. Ma che mi ha colto di sorpresa e turbato non poco… un episodio che preferisco tenere per me. Un ulteriore tassello al miscuglio di emozioni che mi riporto a casa da questo viaggio.
Rientriamo a Mogtedo, non prima di aver gustato come antipasto un po’ del cibo locale, al quale ormai siamo assuefatti (tutti, tranne una…).
Verso le tre riusciamo a pranzare e a ripristinare le nostre riserve idriche vitali. Durante questi giorni non sento quasi mai lo stimolo di andare al bagno. Farò pipì una volta al giorno; il resto viene evacuato con la sudorazione.
Sempre dietro la moto di Lucien, ci rechiamo a vedere il “barrage”, il lago artificiale che quest’anno è ancora parzialmente pieno. Lo stesso che l’anno scorso Stefano ha immortalato nella foto del bambino che pesca nel fango, in seconda pagina del calendario Below 2009.
Per tutto il percorso, vegetazione lussureggiante favorita dal benefico influsso dell’acqua. Distese di risaie in cui contadini ricurvi su se stessi razzolano con l’acqua fino ai polpacci.
Sembra di aver cambiato paese, e siamo solo a qualche centinaio di metri dall’arsura e dalla polvere a cui ormai siamo abituati.
E prendi sempre più consapevolezza del miracolo dell’acqua.
Torniamo a Koupela, non senza aver salutato e ringraziato i nostri amici di Mogtedo, che ci ospiteranno comunque ancora domani a cena, per accompagnarci poi in aeroporto.
A Koupela ci aspetta la doccia, sempre molto bramata, e la cena dalle suore. E come se quanto hanno fatto per noi non fosse abbastanza, ecco spuntare sulle nostre sedie un regalino a testa. Al di là dell’oggetto di per sé molto carino, è il pensiero che ci fa venire il famoso “groppo” alla gola.
Ciò non ci impedisce però di apprezzare il capretto cucinato divinamente (ecco perché è un po’ di giorni che non sento più belare la mattina presto!), con contorno di patate dolci fritte e cipolle rosse cotte. Ho mangiato troppo, ma non potevo fare altrimenti!
Dopo cena le nostre suore assistono interessate e divertite alla proiezione del DVD prodotto in bozza dall’associazione.
10° giorno (lunedì 16) – Il rientro
E sì, siamo alla fine del viaggio…
Sono un po’ sospeso tra la necessità di riposare e la voglia di prolungare questa esperienza.
Per fortuna non devo fare scelte: volenti o nolenti, il rientro è d’obbligo.
Stamattina ce la prendiamo comoda. Recupero cose sparse da infilare in qualche modo nell’unica valigia, un po’ di pulizia nella stanza, mente locale per non scordare nulla.
Quello che dobbiamo lasciare alla missione è riposto ordinatamente sul tavolo; le medicine le portiamo presso l’infermeria del dispensario. Qui fanno più comodo che a noi…
Verso le dieci ci spostiamo al centro del villaggio. Passiamo all’Ocades per fare delle foto ai componenti cuore della pompa Volanta, per poi salutare l’Abbè Barnabè, con l’impegno di verificare la possibilità di reperire in Italia i pezzi di ricambio della trivella da inviare velocemente a guadagno di tempo. In cambio lui si impegna a dare corso prima possibile alla realizzazione dei tre pozzi già finanziati e che purtroppo non abbiamo potuto vedere in funzione.
Poi un ulteriore giro tra gli angusti camminamenti del mercato di Koupela. Mi stupisco di non vedere ancora gli spazzini all’opera, ma è solo questione di tempo: alzo gli occhi e li vedo avvitarsi in aria, posarsi sui fili della luce per avere sotto controllo il campo di azione, scendere in picchiata qualche isolato più in là per compiere il proprio dovere. Non c’è che dire: gli avvoltoi del comune svolgono con dedizione il proprio lavoro!
Pranziamo per l’ultima volta con le nostre suore.
Come non spendere una parola di riconoscimento e rispetto per il lavoro che queste donne fanno per le popolazioni locali. E un pensiero di viva riconoscenza per l’ospitalità che ci hanno regalato.
Un sentito ringraziamento alla Madre Superiora suor Noelì e a tutte le sorelle che ci hanno supportato e sopportato per tutti questi giorni di permanenza; e un mio pensiero particolare a quella bambina con alle spalle oltre trent’anni di attività missionaria che è suor Bartolomea…
Un abbraccio a tutte voi, e un arrivederci a presto (se non siamo stati troppo invadenti!).
Si avvicina l’ora. Alle cinque ci viene a prendere Honorè; giusto il tempo per una doccia veloce e un giro di saluti. Gualtiero lo troviamo intento al suo lavoro di assistenza ai pazienti del dispensario. Marisa la andiamo a salutare a casa.; Iole dorme, ce la saluterà lei.
Con il nostro autista personale percorriamo per l’ultima volta la strada per Mogtedo, dove Lucien e Jacob ci attendono per cenare insieme.
Cena ottima e abbondante, assieme a quelli che ormai possiamo considerare nostri amici, accomunati nell’intento di portare acqua là dove c’è più bisogno.
Dopo cena qualche foto e i saluti un po’ più mesti del solito. Poi ancora in viaggio verso Ouagadougou, dove l’aereo ci attende per il rientro.
Ma prima ancora una ultima sorpresa: l’”artista polivalente” dona a ciascuno di noi una statuetta stilizzata in legno, raffigurante un bimbo col viso teneramente immerso in una mano grande e protettiva…
E’ quasi mezzanotte. Siamo sull’aereo…
Fine delle trasmissioni.