Burkina 2009 - Siamo già partiti

Informazioni e aggiornamenti dalla "terra lontana degli uomini onesti"

Moderatori: sandro, Stefano C.A.

Burkina 2009 - Siamo già partiti

Messaggioda Stefano C.A. » 12/03/2009, 22:54

7 marzo 2009 - 1° giorno
Arriviamo a Ouagadougou senza problemi; ma un borsone pieno di vestiti e altro per i bambini è andato perso. Lievi difficoltà di comprensione con l’incaricata, molto cortese e molto stanca – il mio francese è pessimo. L’Abbé Lucien è fuori dall’aeroporto, dove vige la solita ressa di sfaccendati volonterosi che sbarcano il lunario. L’uscita da Ouaga segue una fila ininterrotta di umanità le cui bancarelle si riducono progressivamente di dimensioni e ricchezza fino a diventare poche spanne di stuoia, su cui probabilmente finiranno di trascorrere la notte. L’impressione è che l’unico cliente atteso sia la speranza.
Nel cuore della notte l’arrivo a Mogtedo, alla parrocchia degli Abbé Jacob e Lucien, dopo la lunga superstrada a pagamento, ci porta ad una tavola imbandita con semplicità e un pollo arrostito veramente speciale. Nella chiesa, al di là del buio tra gli alberi, si levano canti e musica scandita dal rullare del tradizionale tamburo burkinabè. Giusto un saluto, la gente sciama al termine della funzione, solo un po’ incuriosita da questi bianchi comparsi nel cuore della notte.
Proseguiamo per Koupéla, e troviamo ancora alzata ad attenderci suor Bartolomea.

8 marzo 2009, domenica - 2° giorno
La campanella che segna gli impegni della giornata alle sei è una sveglia non traumatica. Colazione semplice, marmellata di carambole eccezionale. Stefano, Rita e Massimo dormono. Suor Bartolomea decide che non posso seguire le sorelle e le novizie alla messa delle 7 perché occorre che qualcuno chiuda il portone…Foto di rito ad ogni fiore del giardino, e finalmente compaiono tutti compresa Rita, stesa da raffreddore e faringite. Alle 8 si decide di raggiungere la chiesa per lasciare la chiave, quando sulla rotonda un poliziotto molto gioviale ci blocca per il passaggio della “course des handicapès”: carrozzine tricicle con pedalata manuale, tanto legno e parti di recupero, sfrecciano attorno alla rotonda e rientrano. Fa sorridere il fatto che il linguaggio politicamente corretto non abbia ancora scalfito la società. La pazienza del poliziotto per il nostro scarso francese non gli fa neppure affiorare il pensiero di controllare un permesso di utilizzare la nostra patente europea, permesso che non abbiamo; in verità avevamo creduto di capire male, “la corsa degli handicappati” era proprio tale.
La chiesa è una vera novità culturale: musica tradizionale, ritmo ed una gioiosa partecipazione, 7-800 persone riempiono la chiesa più la folla sul sagrato, miriadi di bambini bellissimi, molti vestiti per la festa, donne in abiti tradizionali coloratissimi, centinaia di braccia si levano a ritmo. Alcune donne indossano una maglietta dedicata all’8 marzo, che tuttavia, scopriremo in seguito, verrà festeggiato solo il giorno dopo perché l’8 è domenica! La sensazione di sentirci quattro mosche bianche è molto, molto forte. Ma al di là degli sguardi incuriositi riceviamo solo cortesia. Mentre noi restiamo a nostra volta incuriositi dai 45 minuti di annunci parrocchiali, che vanno da chi ha fatto offerte per dedicare la messa ai giorni di confessione prepasquale ai corsi di informatica.
Prima di rientrare è d’obbligo una visita alla “Casa dei 5 euro”. Charlotte, la ragazzina presa a cuore dalle suore, non c’è ma saltano fuori nugoli di bambini timorosi, ma giusto per pochi secondi. La miseria non intacca la gioia dei bambini, ma sembra riguardare un’esistenza diversa. Con orgoglio offrono sgabelli spolverati e uno mostra il libro di storia su sta studiando a scuola.
Visitiamo poi la maternità dell’ospedale ed il reparto degenti, dove il Dr. Gualtiero, chirurgo, compie tanti piccoli miracoli. E’ in pensione e si divide tra il suo studio privato a Brescia e Koupela. Non ha bisogno di arricchirsi, la sua famiglia sta bene, e dedica le sue risorse agli altri. Non con il gesto generoso di un momento, ma con anni di preparazione, comprensione della situazione locale, elaborazione di un progetto nelle sue linee strategiche e nelle realizzazioni pratiche: una base gettata per il futuro, e ogni commento è superfluo.
Nel pomeriggio si parte per Mankarga V5, dove è in corso uno dei sondaggi per impiantare un nuovo pozzo. I sondatori lavorano con cura, ma ciò che colpisce è l’intera popolazione che assiste. Il che non è poi così strano, vista la posta in gioco, ma diventa imbarazzante. Una particolare stretta di mano e un inchino, tutti salutano e ringraziano. Non si capisce come dal nulla di polvere rossa, acacie, baobab e mucche scheletriche ogni tanto compaia dal nulla qualcuno con i vestiti puliti ed in ordine, e si vedono un paio di cellulari in mano: ci dicono che è discretamente abbordabile nei costi anche per il metro di misura burkinabè (ma poi ci diranno il contrario). Purtroppo le evidenze sono infauste e prima che cali il buio ce ne andiamo senza sapere se gli ultimi 10 metri saranno quelli decisivi per l’acqua. La mia base tecnica dice di no, la mia speranza si ribella. Il capo sonda è abile nelle manovre, nonostante il mezzo perda olio dalla testa motrice, i manovali sono comunque volonterosi anche se alla fine di una giornata rovente sotto al sole ( che ha raggiunto i 38° C), respirando lo scarico di vecchi enormi motori diesel la stanchezza è evidente. La portata minima necessaria per installare la pompa è 0,5 m3/ora, e la portata misurata è di soli 0,2 m3 ora. Andandomene rimugino gli allineamenti dei dossi di granito e dei corestones, questi massi lasciati dalla scomparsa della coltre di alterazione, e l’aspetto dei cuttings di perforazione: non sono ottimista sull’esito del pozzo; vorrei poter fare qualche linea di sondaggi elettrici e partire con le verifiche. Rientriamo: L’Abbé Jacob conoscendo ogni singola buca guida il pick-up come fosse una motoretta, slalomando tra nugoli di bambini piccoli che portano per mano fratellini più piccoli…
Rientriamo tardi a Koupéla, scombinando ancora una volta il regolare scandire delle ore nella regola conventuale.
Allegati
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Massimo, Rita, Stefano "petit", Stefano "grand", Abbé Lucien in abiti borghesi
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Primi incontri: curiosità e timidezza
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Stefano mostra le loro immagini ai bambini di Pousgaa
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Baobab nella brousse
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Stefano C.A.
 
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Re: Burkina 2009 - Siamo già partiti

Messaggioda Stefano C.A. » 12/03/2009, 22:54

9 marzo 2009, lunedì - 3° giorno
MANKARGA V5_1
N 12°03’39,2”
W 00°53’15,5”
(coordinate Datum locale: Adindan)
Esito: Negativo
Seconda postazione: non prevista dalla geofisica.
Guasto alla testa idraulica, la sonda rientra alla base.
La vecchia Ingersoll-Rand non ha retto, dovranno contattare Atlas-Copco a Ouaga, sperando esistano ancora ricambi disponibili, ma solo a partire da mercoledì, dati i due giorni di festa.
Alle 7.30, dopo la colazione, il bollettino dell’Abbé Lucien ci abbatte per qualche minuto, ma si sa: è il rischio geologico. A quel punto siamo “disoccupati” e Suor Bartolomea ci offre un giro turistico a vedere rocce e alberi particolari nel sud. Il famoso masso in bilico, un ciclopico corestone, emana un fascino indescrivibile. Compaiono bambini per nulla intimiditi, ed è subito un problema distribuire caramelle dopo molte foto; quando ce ne andiamo alcuni sono sul tetto della Land Rover, altri appesi dietro. Un accidente per noi padri e madri di famiglia, una rassegnata consuetudine per Suor Bartolomea, una giostra gagliarda da ricordare per mesi per bimbetti e bimbette con tanto di treccine. Punti di vista.
Resta sempre il senso infinito di tristezza per la consapevolezza che in realtà non è possibile fare nulla di immediato per quei bambini che vivono in condizioni così primitive. Anche se appare una affermazione politicamente scorretta, tali sono le condizioni di vita: poca acqua per niente potabile, massima esposizione alle zanzare che portano la malaria e nessuna igiene, discreto equilibrio con l’ecosistema locale; infatti il sovrapascolo regola la natura mentre malattie e disagi regolano la quantità di esseri umani.
Ci spostiamo verso un’altra area di monumenti naturali. Il paesaggio è indescrivibile, la piatta distesa costellata di radi alberi e cespugli è interrotta da questi massi ciclopici dalle forme più strane. In molti punti il terreno è coltivato nella stagione umida, qua e là crescono alberi più disparati, come quello i cui baccelli portano semi con una specie di grosso fiocco di cotone per volare lontano. In rari posti si possono osservare sulle rocce i cortex di alterazione così chiaramente come in questi luoghi, e con queste dimensioni, e penso allo spessore dei suoli scomparsi lasciando queste ciclopiche cataste di blocchi. Un anziano preleva rami con una piccola ascia che potrebbe benissimo essere paragonata a strumenti dell’età del ferro.
Nel punto più interno, spiega Suor Bartolomea, la religione animista colloca presenze spiritiche, “gri-gri”. E’ comprensibile come la suggestione del luogo possa portare alla luce sensazioni ataviche.
Incurante degli spiriti Massimo si dimostra un eccellente “boulder-climber” . Uno dei massi più eclatanti è chiamato “Coppa del Mondo”, ma per me resta un masso. Nulla potrà scalfire la dirompente sensazione che trasmette quel paesaggio antico modellato in decine di milioni di anni. Un altro concetto di geologia rispetto ad Alpi ed Appennini.
Rientrando passiamo accanto ad uno dei “nostri” pozzi, Ronsin (12°08’51,9”N, 00°22’02,5”W Dat.Adindan). Donne, ragazze e bambini stanno allegramente pompando acqua, il pozzo è in perfetto ordine e noi, già disidratati, ne approfittiamo. L’acqua è calda per il nostro metro (temperature dell’acqua di falda 24°C) ma buona.
Una bimba adagiata a dormire in un catino diventa l’attrazione. Siamo tutti attorniati, si ripete il rito delle caramelle, Stefano ha sfoderato le armi pesanti della fotografia. Sfodera una calma serafica quando impugna macchina e obiettivi, mi ricorda un qualcosa tipo "Lo Zen e l'arte della fotografia". La confusione è allegra, c’è sempre allegria quando non c’è timidezza, anche se stringe il cuore vedere il poco in cui quei bambini crescono. Diventa impegnativo allontanarsi.
Sono le dieci e mezza di mattina quando rientriamo, e sembra già trascorsa una settimana.
Riusciamo a incontrare l’Abbé Barnabé, che dirige l’OCADES Koupela, l’organizzazione che fisicamente realizza i pozzi da noi finanziati. Posso finalmente discutere, sviscerare, vedere e toccare con mano ogni aspetto tecnico. Per la sonda, una vecchia Ingersoll-Rand, la situazione è sconfortante. Vedremo se sarà possibile varare un piano di assistenza dall’Italia, proverò a saggiare alcuni contatti, ora quei prodotti sono gestiti da Atlas Copco. Ma in realtà servirebbe un mezzo più moderno, più leggero ed economico nella gestione. Quando passiamo a parlare delle pompe dei pozzi, mi piace quello che vedo. Tutti gli aspetti tecnici sono curati, tutte le risposte concordano con quanto mi sono studiato negli ultimi mesi. Cercheremo di sviluppare insieme uno studio generale della falda, grazie agli idrogeologi dell’Università, se OCADES riuscirà a fornirmi abbastanza dati. Sarebbe utile al progetto, sotto molti aspetti. E forse riusciremo a trovare un accordo economico ancora più favorevole per i pozzi ad esito negativo, anche se ci spero poco.
E ancora una volta siamo in ritardo per il pranzo.
Dopo una sosta di discussione sull’associazione e sui programmi, usciamo per visitare il famoso baobab di Koupela, un vero monumento naturale ormai raggiunto dalle propaggini dell’espansione urbana (abusiva). La torma di bambini è fitta, Stefano ha ritrovato bimbi fotografati nella precedente visita. Alcuni restano timidi ma ti prendono per mano, e tentiamo spesso vanamente di disporli in fila per distribuire caramelle. Impazzano le foto e la folla si amplia. Adulti che passano in bicicletta guardano e sorridono, salutano cortesemente e sorridono. L’area è una commistione di capanne tradizionali col tetto in paglia, per la maggior parte ovili stalle e magazzini, e di case in mattoni “moderne”, i terreni inframmezzati mostrano i resti di campi di mais e miglio e fioriscono distese di sacchetti di plastica, uno spettacolo desolante. Capre, asini, mucche e maiali scorazzano liberi; e i bambini giocano allegramente a piedi nudi. Sono visi di una bellezza disarmante, le bambine hanno quasi tutte elaboratissime acconciature di treccine, qualcuna un orecchino. I vestiti sono laceri, tranne qualche raro caso. Arriviamo al pozzo di Pousgaa (coord. 12°09’55,4”N, 00°22’15,3”W, datum Adindan, 12°09’58,3”N, 00°22’15,7”W datum WGS84), interamente finanziato dalla Itex, e lì sarebbe necessario fare qualche foto del murales del logo con i bambini. Stefano si impegna, ma disporre file e far spostare bambini e donne rasenta la comica, il francese è conosciuto solo da alcuni, il mooré da nessuno di noi. Il sole è contro, Stefano scatta ma senza soddisfazione (è un vero perfezionista), e riproviamo a disporre le file. Una anziana signora sdentata si stira vezzosamente la camicia e impalla in continuazione i soggetti. Mi stupisco che Stefano porti ancora pazienza; e mentre cala il sole rientriamo. I bambini prendono tutti per mano, Rita e Massimo in particolare, che camminano tra due grandi ali di bambini. Un signore in bicicletta si ferma, e si scambiano quattro parole, è il papà di due dei bambini più piccoli, altri sono cugini. E’ contento che i bambini stiano giocando, e ci saluta con un “che Dio vi assista” prima di riavviarsi verso casa. Il saluto ci fa meditare. Fino all’ultima sosta, dove Stefano riconosce la bimba del poster, e poi un’ultima fila per distribuire le ultime caramelle. Si accoda un signore sulla tipica carrozzella con pedali manuali, e chiede con estrema cortesia una caramella. Come negargliela? Dal copricapo è chiaramente musulmano, ma queste distinzioni sembra vogliano dire molto poco qui.
E stavolta alle 19.00 siamo puntuali alla mensa.
Allegati
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Il pozzo di Ronsin
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Il pozzo di Pousgaa al tramonto
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Rita supera ogni barriera linguistica
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Le speranze sono ancora vive
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Stefano C.A.
 
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Re: Burkina 2009 - Siamo già partiti

Messaggioda Stefano C.A. » 12/03/2009, 22:55

10 marzo 2009, martedì – quarto giorno
Torniamo a Pousgaa per un incontro ufficiale coi notabili del villaggio, e un incredibile bagno di folla coi bambini. Saluti formali e tante caramelle ai bimbi, stavolta un po’ meno turbolenti forse causa degli adulti.
Più tardi raggiungiamo il villaggio di Noungo dove il nostro pozzo funziona alla grande (12°09’55,4”N, 00°22’15,3”W Datum Adindan, 12°,08’, 24”N, 00°24’30,5”W Datum WGS 84). La pista di arrivo è lunga e piuttosto sconnessa, e il villaggio è senza dubbio molto tradizionale nell’aspetto. Siedono tutti gli anziani e il giovane supplente del capovillaggio, presto si aggiungono donne e bambini; gira una zucca piena di acqua col miglio e iniziano canti e danze; ma le parole possono descrivere molto poco. La cerimonia culmina col dono di un copricapo e una camicia tradizionali, e le prove su Stefano suscitano ilarità.
Rientrati a Koupela troviamo alcuni notabili di Pousgaa in delegazione, poiché nella visita in mattinata non erano ancora arrivati, che ci consegnano quattro copricapo tradizionali, una borsetta in pelle per Rita e due polli battaglieri legati “a mazzo” per le zampe: la liberazione nel pollaio, affidata al geologo, avrebbe rapidamente preso l’aspetto di una comica senza un adeguato coltellino per tagliare i lacci aggrovigliati.
Nel pomeriggio raggiungiamo i vice-capi del Nabaa di Koupela per recarci a visitare un altro pozzo realizzato su sua espressa indicazione nel villaggio di Gounri (12°03’07,9”N, 00°25’29,2”W, Datum Adindan, 12°03’10,9”n, 00°, 25’29,6”, Datun adindan); a metà della pista la loro vettura è in panne per un cortocircuito da manuale e così proseguiamo sulla Land lasciando polli e caprone nel bagagliaio. Alla vista dei copricapo dei rappresentanti del Nabaa tutti, soprattutto gli anziani più malfermi, scattano in ginocchio in segno di sottomissione e rispetto: inutile negarlo, non siamo abituati a questo tipo di rapporto con il potere. Il pozzo è anch’esso ottimamente realizzato, ragazze e bambini stanno riempiendo le taniche; visitiamo i terreni del capo, coltivati a patata dolce e tabacco, irrigati con la putrida acqua di un fiume a meandri quasi in secca. Rientrando ci fermiamo al villaggio, dove fanno bella mostra di sé un paio di trattori di cui forse uno funzionante, con i dovuti aratri e frese. Il villaggio è molto tradizionale, con gli orci per la farina di miglio tra le capanne in argilla col tetto di paglia e gli stessi orci montati con argilla intorno ad un focolare per la cottura del cibo. Certo, poi un giovane esce con il cellulare in mano… come osserva Massimo siamo in un delicato punto di equilibrio tra la cultura tradizionale, comparabile ad una cultura dell’età del ferro, e la globalizzazione tecnologica. Inutile dire che anche qui i bambini si sganasciano dalle risate riconoscendosi a vicenda nei visori delle macchine fotografiche digitali, e qualche caramella li riempie di gioia. Farò notare ai miei figli che qui vengono leccate per farle durare di più. Tornati alla macchina dei dignitari il tentativo di cavallotto al negativo della batteria si risolve in una fiammata, così la macchina viene spostata da un nugolo di ragazzini e i polli, sempre legati a mazzo, nonché il caprone, debitamente impacchettato e recalcitrante, finiscono sul tetto della Land; si può rientrare. Doverosa la visita di cortesia al giovane Nabaa di Koupéla, dove assistiamo ad un rito di “presentazione dei rispetti al Nabaa” che ci lascia stupiti. I tre dignitari si prostrano a terra con formule di rito che includono tamburellamenti sul pavimento e veloci schiocchi di dita. Per la nostra cultura occidentale risulta realmente inusuale, ma dopotutto evidenze di piaggeria non mancano neanche da noi. Bisogna contestualizzare ogni esperienza culturale e non applicare etichette. Il Nabaa gode credito di essere realmente impegnato per la provincia, e nella sua casa spiccano tutti i moderni mezzi di comunicazione.
Stavolta è Suor Bartolomea che ci riporta in ritardo alla missione, dove purtroppo è appena giunta la notizia della morte del padre di una delle suore.

11 marzo 2009, mercoledì - quinto giorno
Stamani dopo colazione passiamo alla sede dell’OCADES Koupéla, l’Abbé Barnabé è in viaggio ma la sua efficientissima segretaria è già al lavoro sulla nostra documentazione.
Dopo ci buttiamo nel mercato, c’è da fare spesa di frutta e verdura. Gente distesa, bambini bellissimi, condizioni igieniche sotto lo zero, poca ritrosia alle foto. All’inizio del mercato c’è una zona di arelle dove evidentemente la gente si ferma a dormire nella notte, come fanno spesso i pazienti dei degenti all’ospedale della missione. Per questo motivo è in costruzione un fabbricato destinato ad accogliere le famiglie. Alcuni grossi avvoltoi passeggiano indifferenti alle persone, molti altri roteano nel cielo vicino alla torre delle telecomunicazioni. Nel fitto del mercato l’acquisto di spezie è irrinunciabile.
Rientrati andiamo a fare visita alla scuola della missione, che accoglie i bambini di 4-5 anni e li porta alla prima alfabetizzazione.Sarà meglio che il nostro attuale ministro all’istruzione non scopra che una maestra tiene in riga una classe di 99 bambini. Sapremo poi che il basso rapporto insegnanti/studenti nelle classi avanzate delle scuole pubbliche causa non pochi deficit nella qualità dei programmi scolastici. I piccoli danno prova di conoscere bene l’alfabeto, compunti nel loro impegno, sono tutti molto belli, vestiti bene per la scuola o forse per la nostra visita. Restano tutti (quasi) tranquilli per la rituale distribuzione di caramelle e alle cure della maestra sono lasciati gessi, gessi colorati, matite colorate, pennarelli, penne, gomme e temperini che serviranno per tutta la classe. Un bimbetto in prima fila ha continuato a dormire con la testa sul tavolo per tutto il tempo, senza fare una piega ai canti di benvenuto: considerati i 98 bambini al massimo del loro impegno, ci siamo quasi preoccupati. Alle fotografie finalmente possono rompere le righe, e accorrono ripartendosi in 4 gruppi: così possiamo tenere per mano 25 bambini ciascuno, facendo contemporaneamente fotografie…appena la turbolenza si placa, la maestra ordina e i bimbetti scattano ai loro posti. Questo invece non è da portare a conoscenza delle nostre maestre!
Siamo a pranzo ospiti di Gualtiero e Marisa e della loro amica Jole, parliamo molto della situazione sanitaria e ospedaliera. La loro associazione “Ospedali per il Burkina” sta compiendo sforzi enormi per fare sì che il centro di Koupéla possa decollare ed affrontare sempre nuove situazioni, poiché la situazione generale è da considerarsi drammatica per gli ammalati.
Sul tardi torniamo a Ronsin per un incontro con i notabili e la popolazione che vuole ringraziarci ufficialmente per il pozzo. Una donna, Augustine, ha portato avanti la richiesta, e il suo impegno ci ha consentito di individuare una situazione di bisogno. E’ difficile tra i bisognosi individuare chi è più bisognoso. E’ sempre difficile e talora complicato dover stabilire priorità nell’intreccio di necessità reali, quadro “politico” dei rapporti tra i villaggi e struttura fisica del territorio. Ma siamo decisi a proseguire.
Stavolta quattro galline ci accompagnano sulla via del ritorno.
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Stefano C.A.
 
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Re: Burkina 2009 - Siamo già partiti

Messaggioda maurorecine » 16/03/2009, 13:11

Inutile dirlo.....ci state facendo venire la pelle d'oca; mentre leggiamo abbiamo i brividi addosso e una commozione che non ha eguali.
Cosa riesce a combinare il mal d'Africa...!!!
I vostri racconti così dettagliati scatenano una tale fantasia che, basta chiudere gli occhi e automaticamente sei lì... !!!!
.....Esattamente in mezzo a tutte quelle persone e a tutti quei bambini che ti guardano e ti scrutano felici perchè sei lì a regalargli delle caramelle delle matite colorate o semplicemente a chiedergli di farsi fotografare,.... ma soprattutto perchè tutti noi con i nostri cuori stiamo li insieme a voi per aiutare questo splendido popolo.....
Un abbraccio amici nostri ...!!!! :amici:
:ola:
Marina e Mauro
:pozziamo:
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Re: Burkina 2009 - Siamo già partiti

Messaggioda Stefano C.A. » 18/03/2009, 14:09

12 marzo 2009, giovedì – sesto giorno
Raggiungiamo il villaggio di Gonghin al mattino presto dove ci attendono gli Abbé Pascal E Romualdo. Con loro arriviamo a Pisizaoe, dove la Land della missione deve aprirsi la strada su una pista da biciclette, e non riusciamo a capire da dove siano passati i mezzi della sonda e dei tubi. Finalmente il pozzo (12°06’39.9”N, 00°02’24,3”W Datum Adindan, 12°06’42,8”N, 00°02’24,3”W Datum WGS 84), presso un piccolo villaggio. Oramai il bagno di folla e di bimbi è un rito, e alla fine Stefano suggerisce di darci dentro con l’acqua: i bambini si sono levati le maglie, o ciò che ne restava, e si sono scatenati felici come non mai. Sarabanda di foto, canti e danze, e polli.
Rientrando a circa 500 m a NW del pozzo vedo finalmente un suolo che sembra non aver subito alluvioni o scavi, e salto giù per prelevare un campione. Tanto sovraconsolidato che mi rimbalza la cazzuola come fosse cemento. Arriva uno dei notabili, che era con noi in macchina, insieme a Massimo, e alla fine in tre riusciamo a prelevare un blocco da ridurre. Massimo viene bloccato all’istante, stava per afferrare il blocco appoggiando in braccio su uno scorpione…devo dire che il notabile locale ha ottima mira con le verghette di legno, e che Massimo non era soddisfatto di quanto rimasto in fotografia dello scorpione.
Sempre per piste ciclabili, ovvero larghe per le biciclette ma non abbastanza per le Rover, arriviamo a Sawatin. Stefano è piuttosto abile considerato il mezzo (qui è la regina del Sahel, normalmente sarebbe un vecchio scassone) e riesce anche ad evitare l’insabbiamento. Ma giusto per un pelo, c’è sempre paura di travolgere le guide in bicicletta. Anche a Sawatine il pozzo è perfetto (12°01’12,0”N, 00°10’00,7”W Datum Adindan, 12°01’15,9”N, 00°10’01.1” W datum WGS84). Anche qui la gratitudine della gente è commovente, e ragioniamo sul fatto che questo miglioramento di vita è per tutti riguardo all’acqua, ma è fortissimo per donne e bambini, il cui lavoro è procurare l’acqua, una fatica di Sisifo che può arrivare ad occupare giornate intere se il pozzo è distante. Si capiscono meglio certi sguardi.
Chiudiamo la mattinata a Weefin, (12°06’16,2”N, 00°08’15,4”W datum Adindan, 12°06’19,2”N, 00°08’15,9”W datum WGS84) dove il pozzo è in mezzo a un nulla di villaggetti sparsi; non c’è molta gente, e ritorniamo a Gonghin per un pranzo tardivo, dove Rita resta un po’ male trovando nell’arrosto di pollo praticamente tutto il pollo eccetto le piume; in compenso la pasta al forno a base di spaghetti preparata da Romualdo è davvero cosa degna di essere sbafata. Con lode all’intraprendenza dell’Abbé nel lanciarsi a seguire una ricetta scritta e mai provata. Arriveranno poi abitanti di Weefin con un pollo bianco.
Al rientro passiamo dall’OCADES, dove manca la segretaria di Barnabè: non si è presentata, e la sua collega è un po’ preoccupata poiché la signora è in dolce attesa. Speriamo in bene. Una seconda visita conferma l’assenza, purtroppo nessuno sa nulla e l’ufficio è chiuso a chiave. Proveremo domattina presto.
Saremo senz’altro in orario per la cena. Tiro fuori i due progetti e i preventivi per la scuola di Mankarga, e iniziamo a valutare pro, contro e problemi di finanziamento, gestione e controllo.
Naturalmente arriviamo in ritardo per la cena, e sono sicuro che Suor Bartolomea ci tirerebbe volentieri uno scappellotto ciascuno. Essendo di origine sarda, basta lo sguardo. E le regole sono le regole.
Stefano C.A.
 
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Re: Burkina 2009 - Siamo già partiti

Messaggioda Stefano C.A. » 18/03/2009, 14:10

13 marzo 2009, venerdì – settimo giorno
Stamattina Honoré è arrivato ancora prima dell’anticipo che gli avevamo chiesto, ed è meglio. Passiamo dall’OCADES e suppongo che la ragazza con cui ho parlato fosse la sostituta della segretaria. Mi consegna tutti i documenti che servivano, quando corre fuori a salutarci Barnabè che era rintanato in ufficio avendo pratiche urgenti da sbrigare.
Alcuni rapporti sono purtroppo della gestione precedente alla sua, e devo dire che con il suo arrivo la qualità ha fatto un balzo in avanti di 20 anni rapportata al nostro standard. Meglio così, ma mi spiace per i dati mancanti. Quanto alla sua segretaria, effettivamente al mattino ci stava preparando le fotocopie, al pomeriggio, quando siamo passati, stava partorendo nel nuovo reparto maternità della missione. Che tra l’altro è l’unico nel raggio di 120 km ad avere mezzi come gli ecografi.
Raggiungiamo Mogtedo per incontrare gli Abbé Jacob e Pascal; ci dividiamo sui due pickup e partiamo. Come al solito tocca a me quello non climatizzato: sopporto meglio, ma tanto il cielo è velato di nubi molto alte. Tanto non si andrà molto sopra i 40°.
Per piste talora appena accennate nella “brousse” (“bush” per chi ama la letteratura africana anglofona) arriviamo a Mogtedo V6, dove ci raduniamo sotto alla tettoia della chiesa. Muri e panche di mattoni di fango crudi impastati con paglia, tetto di lamiera, veranda in legno e stuoie. Fuori impazzano le danze delle donne in abiti coloratissimi e delle bambine fino ai discorsi ufficiali, non senza la solita tradizionale zucca di acqua e farina di miglio, ma stavolta con un po’ i limone e zucchero. Allora si avvicinano tutti, e al di là delle molte parole tradotte (sinteticamente) da Lucien sono le espressioni che parlano davvero.
Andiamo al pozzo completato (12°14’42,9”N, 00°57’46,4”W Datum Adindan, 12°14’45,9”N, 00°57’46,8”W Datum WGS84), e facciamo i soliti controlli, foto, marasma.
Alla fine ci allontaniamo, una pianura fantastica di acacie, baobab maestosi, graniti che qua e là affiorano, improbabili agglomerati di bancarelle nel nulla (persino un bugigattolo per la telefonia mobile, ma era chiuso).
Dopo molta polvere inseguendo motorette su ciclabili malmesse in mezzo alle acacie raggiungiamo il villaggio Rapadama V2. Tenendo il braccio fuori dal finestrino noto che in verità le acacie non hanno spine più grosse delle robinie, ma sono molto, molto più numerose, ben distribuite, affilate e secche, e noto anche che il buon Pascal non si cura di rigare la carrozzeria nei rovi. Nel villaggio l’accoglienza è ancora più formale, una gran tettoia di stuoie e ben quattro Nabaa con il copricapo distintivo. Solito giro di acqua e farina di miglio, l’acqua dell’amicizia (familiarmente: “lo sbobbone”); dato che confidiamo nei nostri pozzi lo beviamo, affidandoci alle vaccinazioni per tutto ciò che riguarda il transito dai pozzi alle nostre mani. Subito dopo arrivano due percussionisti con tamburi tradizionali. Il suono è notevole, del resto è uno degli elementi di fama burkinabè; le scale in dissonanza sono un qualcosa di estremamente complicato. Il capo anziano lancia monete che i suonatori raccolgono al volo (o da terra). Poi viene il momento dei discorsi, un giovane è incaricato di tenerli (anche l’anno prima in occasione della perforazione) e la vena poetica esce anche dalla traduzione di Lucien. Stefano risponde con alcune considerazioni che portano un po’ di commozione a tutti. Avanzano i doni, per Rita un abito tradizionale (tessuto e foulard). La donna che glie lo offre, crediamo una delle mogli dei capi, si inginocchia a terra, come aveva fatto prima con l’acqua: Rita, molto spontaneamente, invece di prendere il dono o di farla alzare si inginocchia e l’abbraccia, e devo dire che lo sguardo di sorpresa, incredulità e commozione di quella donna rimarrà nei ricordi di tutti. Per noi i tradizionali cappelli villageois di paglia intrecciata con ornamenti in pelle e borse di cuoio conciate e lavorate a mano di uno stranissimo color fucsia. Non molto adatte per l’ufficio ma molto particolari.
Alla fine torniamo al pozzo (12°17’17,6”N, 01°03’36,5”W datum Adindan, 12°17’20,5”N, 01°03’37,0”W datum WGS84).
Siamo invitati per il pranzo, organizzato sotto una tettoia all’interno della casa del capo. Piatti, necessariamente spaiati, Fanta e Cocacola, e sul basso tavolo vengono servite due pentole una colma di riso condito e l’altra di pesci gatto (siluriformi delle acqua dolci della zona) affumicati e cotti in umido con le cipolle. Ovviamente essendo venerdì di Quaresima niente carne e niente alcolici (e per me non è certo un problema). Il problema sono i pesci gatto per Rita; Stefano non ama il pesce d’acqua dolce e passa, Massimo osa uno piccolo solo dopo che me ne sono servito. Chiaro che qualche dubbio sussiste, ma ci hanno fatto trovare pesce tra le propaggini del Sahel, tra acacie e baobab. Uno sforzo che non si può non assecondare, e quindi “scofano”. Senza esagerare, perché ho la vaga sensazione che le donne di casa potranno mangiare solo dopo gli avanzi (sono tutte fuori), ma tanto da dimostrare alto gradimento, e glie lo comunico anche, facendolo tradurre in mooré dall’Abbé Lucien. Era veramente buono, tanto che evito la terza dose solo per le considerazioni di cui sopra. Espressioni e sguardi sono il miglior indice per valutare se stai mantenendo un comportamento consono al codice culturale…stavolta devo avere azzeccato. Considerati alcuni aspetti prettamente tribali dei rapporti tra le persone preferisco non fare gaffes.
A fine pasto il nostro ospite esplora la possibilità che ci si possa occupare della scuola, un edificio funzionante ma lesionato per cattiva costruzione: non è così semplice, non possiamo promettere nulla. Ma ci penseremo.
Visitata la scuola rientriamo sulla strada asfaltata dopo un’oretta di piste polverose; la finissima polvere rossa si insinua dappertutto, impasta le narici in modo fastidioso. Facciamo rotta su Ouaga, dove ritroviamo il nostro bagaglio alla missione camilliana della capitale, non senza averlo cercato prima in aeroporto sfogliando anche i registri ordinatamente scritti a mano. Sempre “a rate” riusciamo finalmente a conquistare le carte topografiche e le banche dati geografiche all’Istitute Géographique du Burkina-Faso, il cui direttore, Mr. Bazoun, si è pazientemente sorbito innumerevoli mail preventive e le telefonate dal mezzo della brousse disturbate da vento e tamburi. Dopo la giornata sul pick-up senza climatizzatore trovo pregevole il suo ufficio, contenente il server della struttura, e quindi climatizzato sulle esigenze di questo delicato sistema informatico. Non rileva né commenta la mia metà destra di colore rosso- laterite, credo capisca benissimo derivi dal finestrino aperto di un’auto non climatizzata in mezzo alla boscaglia. Pensare che per questo incontro mi ero messo in valigia pantaloni e camicia.
Acquistati manghi e banane torniamo al volo a Koupela: in ritardo di 60 secondi, salvati solo dalla visita dell’arcivescovo che ha interferito con i ritmi delle suore nella loro giornata. Solitamente sono le partorienti, i moribondi o i bambini operati a portare questi scompigli, ma anche un arcivescovo merita la sua attenzione.
Stefano C.A.
 
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Re: Burkina 2009 - Siamo già partiti

Messaggioda Stefano C.A. » 18/03/2009, 14:11

14 marzo 2009, sabato – ottavo giorno
Stamattina presto partiamo per Mankarga V4 sapendo che sarà una giornata “politica”: è prevista infatti la posa della prima pietra simbolica per l’ampliamento della scuola di Mankarga. Come arriviamo è doverosa una verifica dello stato della pompa e della piazzola del pozzo (tutto OK) (12°05’43,2”N, 00°50’40,9”W datum Adindan, 12°05’46,1”n, 00°50’41,6”W Datum WGS84) e poi visitiamo il famoso orto. In una piatta distesa riarsa, con rare colline, e acacie sparse, dietro ad una siepe di spine lo sguardo coglie insalatine tenere, insalate pronte per dare semenza, melanzane, cipolle ecc. L’orto è stato suddiviso in vasche regolari ribassate nel terreno: in questo modo la dura crosta superficiale (praticamente una caliche che cementa un pavé residuale) viene rimossa e il terreno sotto è più morbido, con argilla e sabbia; l’aggiunta di rifiuti organici lo rende più fertile e strutturato consentendo di assorbire e trattenere meglio l’umidità.
Siamo fatti accomodare sotto una grande tettoia presso la chiesa, alla spalle tutti i notabili e gli uomini, e fuori al sole le donne e i bambini. Sono organizzati, è saltato fuori un amplificatore con tanto di microfono e l’organizzatore mostra un programma molto lungo. C’è anche un fotografo ufficiale con tanto di Canon a pellicola.
Intanto che procede l’organizzazione è un via vai di bambini che continuano ad aumentare; un bimbetto piccolissimo, avrà poco più d’un anno, si avvicina deciso a Stefano e in pochi attimi riesce a riempirlo di sudore, fuliggine, muco, polvere e quant’altro. Ci sono quattro suonatori di tamburo, e l’offerta dell’acqua di miglio diviene una cerimonia decisamente più complessa, con due ballerine che avanzano lentamente già piegate a metà prostrandosi infine nell’offrire le ciotole. Seguono i discorsi ufficiali: dapprima il capovillaggio, poi interviene il direttore della scuola che vorremmo ampliare, e perfino l’ispettore del provveditorato responsabile per la provincia. Appuriamo che la struttura consente solo ad una parte dei bambini di accedere agli studi, poiché possono accettare allievi solo un anno sì e un anno no avendo poche aule. Quindi ad anni alterni i bambini non hanno accesso allo studio. Noto come molti anziani siano abbigliati alla musulmana, ed effettivamente i due funzionari salutano con un “as’ salam aleikum” cui tutti rispondono con “aleikum ‘salaam”. Considerato anche il numero elevato di cristiani, ciò significa una miscellanea completa e pacifica delle due religioni entro la popolazione. Altri discorsi e poi danze: dapprima donne in costume, poi bambine, poi uomini in costumi tribali. Ci tocca anche tenere discorsi, rimarcando per quanto possibile le difficoltà di questo progetto e che non lasceremo nulla d’intentato. Qualcuno capisce perfino il mio pessimo francese senza la traduzione mooré, ma sembra che nessuno sia intenzionato a preoccuparsi.
Al termine siamo invitati a pranzo: un po’ accatastati sotto alla tettoia di stuoie, con i capi alle spalle, siamo serviti di un mix di paste cotte e saltate con verdure e pollo al curry, ove è stato un po’ difficile trovare carne sulle ossa: i polli saheliani non sono rinomati per la ciccia ma solo per la combattività quando devi slegargli le zampe. Bibite incredibilmente fresche. Dopo di ciò una magnifica zuppiera di insalata dell’orto di Mankarga (“jardin de Mankarga”) condita con una dadolata di cipolla e cetrioli con una vinaigrette di farina di miglio e senape e forse una specie di maionese. Chiaramente anche qui abbiamo contravvenuto ogni buona norma di prevenzione, confidando nel fatto che l’acqua del pozzo è batteriologicamente pura e dentro gli orci sferici di terracotta non potessero starci più di tanti microbi. Confidando anche nelle vaccinazioni, ovviamente. Devo ammettere che io e Massimo siamo i più sperimentatori. Dopopranzo per smaltire noi due facciamo una volata in cima alla collina per qualche foto panoramica. La collina risulta essere una magnifica dorsale di quarzo microcristallino, sicuramente qualcosa di metamorfico; comincio a pensare a orientazioni, lineamenti e paleosuperfici ma bisogna scendere per risalire in macchina e visitare la scuola esistente. In ogni caso prima che la temperatura ci sciolga la suola delle scarpe. Tutta la popolazione si è suddivisa in tre gruppi nella piana (in funzione dei tre alberi più grossi) dove tutti hanno mangiato dalle pentole che le donne hanno pazientemente portato da casa; i suonatori di tamburo si sono divisi e ogni gruppo ha il suo cerchio di donne e bambine che danzano.
Arriviamo alla scuola e constatiamo che la struttura è in buone condizioni, ma è evidente che i banchi sono in numero insufficiente, che mancano una sedia e una cattedra, e, considerando i bambini visti, gli spazi sono ampiamente insufficienti. Vedremo cosa si potrà fare con l’aiuto di tutti.
Rientrati a Mogtedo facciamo una visita al mercato prima di rientrare a Koupela, dove passiamo all’OCADES per incontrare Barnabé. Facciamo il punto della situazione sulla sonda, verifichiamo in rete i codici dei pezzi di ricambio, ci sono alcuni problemi. Il prezzo richiesto per l’invio dal Togo di un pezzo probabilmente compatibile è assolutamente spropositato (oltre un milione e mezzo di franchi CFA), l’acquisto online di un pezzo sicuramente compatibile costerebbe meno di 200 dollari….. ma nessuno invia in Burkina per un acquisto internet. Vedremo dall’Italia.
Stefano C.A.
 
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Re: Burkina 2009 - Siamo già partiti

Messaggioda Stefano C.A. » 18/03/2009, 14:13

15 marzo, domenica – nono giorno
Per una buona esibizione di tamburi tradizionali con strumenti a corda e veri xilofoni non resta che seguire una messa intera, che è un vero evento sociale; sul tardi saremo da Lucien per pranzo, ma deve prima celebrare un’altra funzione per i ragazzi che hanno partecipato alla marcia della quaresima. Così celebra la funzione, incluso un battesimo, sotto un albero di Calcitra realmente secolare, nella cui ombra sono raccolte non meno di duecento-duecentocinquanta persone. Anche qui discorsi di ringraziamento, poiché sono in buona parte abitanti di Mogtedo che hanno ricevuto il pozzo. Il capovillaggio ci fa preparare uno “spuntino”: polenta, riso, pollo, sugo di verdure (credo contenente molukia o una qualche pianta simile). Una fine polvere conferisce una sensazione di sabbia sotto ai denti a tutte le pietanze, che nonostante questo sono molto buone. Ma non riusciamo a non pensare che quelle polveri potrebbero contenere cisti batteriche, uova di vermi ecc. Rientrati a Mogtedo, secondo giro di pasta, pollo e riso. Cresce anche il senso di disagio, in giro c’è sicuramente chi ha fame mentre noi dovremmo buttare giù chili.
Anche questa non si può dire non sia stata una giornata politica, ma ogni contatto è utile per chiarire scopi, finalità, progetti, necessità e aspirazioni. Tutto non si può fare e allora capire aiuta a scegliere. Purtroppo scegliere vuol dire discriminare, ma a questo non ci può essere rimedio.
Rientrando ci fermiamo a fotografare una fabbrica di mattoni di fango; cessata l’attività diurna una famiglia è entrata per attingere acqua dalle buche fatte dagli operai: una poltiglia di argilla fatta decantare, infestata da zanzare e altri insetti.
A sera telefoniamo a Barnabè poiché voglio documentare fotograficamente le parti usurabili di una pompa Volanta, e ci accordiamo per lunedì mattina.

16 marzo, lunedì – decimo giorno.
Siamo all’OCADES a documentare le parti usurabili della Volanta. La giovane sostituta della segretaria in maternità è inflessibile e finché non arriva il capo non concede l’accesso al magazzino. Finita la documentazione rifacciamo nuovamente il punto della situazione, così che resta evidente una sola possibilità: rientrare i Italia e cercare i pezzi.
Il volo per sera è fissato, si preparano i bagagli, un ultimo pranzo alla missione (e io che pensavo di tornare dimagrito). Ma dopotutto le suore e il personale devono essere in forma. Dal mattino presto l’astanteria dei vari reparti è gremita, e le code si allungano fuori dalle zone d’ombra. L’impegno è gravoso. Chiusi i bagagli, un ultimo giro di saluti, poi veniamo accompagnati a Mogtedo. Cena a base di pollo, riso, pane e salsine e veniamo accompagnati all’aeroporto. La strada come al solito è bella ma è resa una tragedia dai camion giganteschi stracarichi oltre ogni decenza, cui spesso cedono semiassi, ruote e via dicendo quando non si ribaltano.
L’aeroporto di Ouagadougou è in ristrutturazione, ma è esattamente come uno se lo immagina. Controlli seri e minuziosi, alcuni dei quali inutili, si ripetono per un’ora abbondante. Al check-in la valigia pesa un chilo di troppo, devo togliere. Una impiegata gentilissima mi consiglia “tolga i vestiti, tolga i vestiti” senza sapere che sotto ci sono blocchetti di granito e altre pietre. Mi scappa da ridere. Sale d’attesa fumosissime, servizi igienici fuori servizio……e solo quando saliamo in aereo con la mole dei nostri bagagli a mano sappiamo di essere davvero sulla via del rientro, perché adesso il nostro impegno è qui.
Stefano C.A.
 
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Re: Burkina 2009 - Siamo già partiti

Messaggioda nello » 19/03/2009, 10:52

Complimenti :felice:
nello :ciao: :ciao:

:below:
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Re: Burkina 2009 - Siamo già partiti

Messaggioda Giovanni » 19/03/2009, 11:54

...che dire!!!
bravi,....grazie a tutti voi...avanti così. :ok:
Giovanni :pozziamo:
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